13.2.10

The show must go on

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Il Montisola Football Club, il complesso sportivo formato da campo in cemento sintetico non regolamentare e fontanella d’acqua calda che d’estate ospita le epiche gesta di un selezionatissimo gruppo di calciatori di eccelso livello tecnico e precaria condizione atletica del quale mi onoro di far parte, neanche a dirlo, proprio il campo, è appresso a una chiesa; ecco quando c’è un funerale, per rispetto, questi magnifici dieci del calcetto centroeuropeo (o quattro, o tredici, quelli che ci sono, di solito dispari) si fermano: che si può anche non giocare a pallone, di fronte a gente che seppellisce uno. Mi sembra che la vita di una persona, anche non insigne, è un po’ più importante del calcetto del sabato. E a maggior ragione di un’olimpiade; invernale poi.

L’aver dato avvio ai giochi di Vancouver con fuochi sfarzi e danze, dopo che uno slittinista georgiano era morto (ma come poi, e perché, è morto?). Fare delle olimpiadi invernali con un ventiduenne morto. Bella roba.