30.1.11

Haiku del martedì perfetto

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Facciamo

Impiantare

Automaticamente

Tergicristalli

(ma solo lato guida, così per vedere fuori puoi coricarti come un patrizio romano sul sedile passeggero e sperare di non aver troppa strada da fare; in questo caso 35 chilometri).

Lì, 11 gennaio 2011.

iMPROmpTU

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“Marysthell va in Val Sabbia; vista dall’hummer”. 24 gennaio 2011. Olio di ritocco su fantascienza, 890 x 714 px.

Courtesy of Marysthell Garcia inc. (che non sta per “incorporated”).

O tempora, o mores

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E anche le emittenti locali hanno buon gioco a trattare di politica nazionale anche di alto profilo in fasce orarie e secondo modalità, prima inaspettate.

(zapping serale esclusiva Teofog all rights unreserved)

Il vomito ventiquattr’ore

Al click day velocità e un po' di finzione

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Questa l’immagine, anche non priva di blande reminiscenze futuriste, velocità e un po’ di finzione, come una commedia con Jennifer Aniston, che un quotidiano nazionale si sente di evocare a proposito dell’abominevole corbellatura che la Repubblica Italiana, nella sua veste monocromo verde, riserva alle centinaia di migliaia di donne e uomini che la vita, i figli, l’insufficienza dei mezzi hanno intrappolato in questa terra infernale che chiamiamo Italia.

Non buste, regali, e Prefetti Lombardi per gli invisibili, restati al di qua del circo del potere, senza Hummer, senza gioielli e senza nemmeno la possibilità di farsi strusciare dal Signore e dai suoi satrapi, ma centoventi secondi per decidere una vita, per un’occasione di uscire dal buio, per un ritorno a casa col cuore in gola, con la promessa – forse – di un’esistenza nuova, da cittadini.

E quest’anno non ci sarà nemmeno il turpe spettacolo delle file alle poste a mostrare ai pochi disposti a chiederselo cosa sta succedendo, nemmeno un fatto tangibile da smussare agli occhi di chi dovesse farsi domande per l’oliata macchina della facciata di Potemkin e del trompe l'œil De Filippiano.

Una tranquilla, ordinata, composta giornata di selezione.

2011 Odissea nello strazio

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Non chiediamo nessun rogo di libri, intendiamoci. Semplicemente inviteremo tutte le scuole del Veneto a non adottare, far leggere o conservare nelle biblioteche i testi diseducativi degli autori che hanno firmato l'appello a favore di Cesare Battisti.

Citazione di una persona che su questo blog non ci vogliam neanche mettere il nome perché è diseducativa. Ma comunque non nuova a impervie operazioni culturali.

Piccolo estratto da una storia dai contorni nebulosi e dai contenuti torbidi, che, pur avendo valicato i confini nazionali, suscita più che altro senso di piccolezza, e miseria, e l’infinito sbigottimento di questa redazione al cospetto di un assessore regionale che dalla faccia non gli si farebbe neanche scegliere le mele al banco ortofrutta, e invece è pagata fior di soldi per uscirsene con idiozie. Senza offesa.

Mi sa che non l’han trovata tutta tutta

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Quei dodici chili di cocaina
tra casa Polanco e l'auto di Nicole

Repubblica.it.

C’è come un qualcosa che fa pensare che almeno una frazione della ipotetica partita originaria non sia finita nelle mani degli inquirenti (v. ca. 11 min.). Chiamale se vuoi espressioni.

25.1.11

I risparmi di una vita

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Gardesana Occidentale di buste paga, 4 gennaio 2011 – per la prima volta sulla via del ritorno, la luce.

 

Ascolta... a lui... gli fa comodo mettere me e te in Parlamento, perché dice, bene, me le son levate dai coglioni, le pagano lo stipendio lo Stato. Sì brava! Brava! Sì sì. I cittadini no?

 

Perché io sto troppo bene lì a Milano! Ba, chi cazzo me lo fa fare? Pensaci. Alla fine guadagnerei uguale, perché guadagni duemila euro in più. Chi se ne frega per duemila euro. Io me ne sto lì dove sono. Tanto poi io sto da Dio lì. C'ho la mia casa, la mia palestra, c'ho il mio fidanzato. Figurati!

 

è possibile parlare col prefetto Lombardi? È una cosa privata, vorrei parlare con lui. Lo chiamerò io perché devo parlare con lui personalmente , mi hanno dato questo numero. Io chiamo da parte del Presidente Berlusconi, non lo so se era giusto dirlo a lei.

 

Aris mi aveva detto che se fossi andata lì il Presidente mi avrebbe dato del denaro. Io chiesi che cifra avrei potuto avere e lei mi disse che poteva oscillare da mille euro a cifre più consistenti.

 

Diamanti

50 mila per il libro
12.000 campagna intimo
200000 da Luca Risso (suo fidanzato, ndr)
70 mila Conservati da Di Maria
170 mila conservati da Spinelli (tesoriere di B., ndr)
4 milioni e mezzo da Silvio Berlusconi che ricevo tra due mesi
29/10/2010 rinuncia avvocato giuliante
29/10/2010 nomina avvocato di maria

Agenda febbaio 6 andare da papi
febb 26 andare da nicole
Febra 27 andare da papa
7 marzo Papi, 2000
13 marzo papi, 2000
5 aprile, 2000 euro
17 aprile papi, 2000
25 aprile, 2000
22 maggio papi
Silvio 39335xxxx
5 giugno papi, 2000

 

23.1.11

Avanti il prossimo

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Meglio guardare avanti va.

Grande esperto ti diserto

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No no e no.

L’attento lettore di codesta morale operetta ben saprà che energie fossero state dissipate per l’acquisto de La democrazia dispotica di Michele Ciliberto, Sagittari Laterza, 2011, pp. 199, € 18.00 che prometteva di essere un testo che

Si sofferma su alcuni classici della democrazia fra Otto e Novecento e su questo sfondo interpreta il fenomeno del berlusconismo.

E quindi né l’attento lettore né lo stupefatto autore avrebbero mai voluto rispettivamente leggere e scrivere quello che segue, e cioè che con dolore l’uno deve comunicare all’altro, e l’altro apprendere che, a dispetto di tutto, non ci si attendeva di trovarsi invece davanti a una estenuante sequela di fiappe anatomie ermeneutiche inflitte a più che mai cadaverici autori del passato, per un buon due terzi; e poi da pagina 146 ad un saggetto di infima levatura sui caratteri autoritari del berlusconismo come degenerazione personalistica ed eversiva a trazione mediatica accentuata dall’evanescenza colpevole dell’opposizione. Ma vacca puttana. Grazie al cazzo. Dieci centesimi di merda a pagina.


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Seconda ma non meno bruciante delusione di questi giorni la bieca operazione dei vituperevoli Editori Riuniti che non mi gabberanno se non altro mai più: Bankster, di Elio Lannutti, 2010, pagg. 410, € 15.00 – che sommessamente in copertina annuncia:

Non c'è angolo dell'economia nazionale e internazionale che non venga messo a ferro e fuoco dall'inchiesta di Lannutti

Bisogna dunque immaginarsi con che umore il lettore, anche affezionato al Lannutti, poverino, abbandoni a pagina 306 questa sorta di insopportabile elefantiaca intervista-flusso di coscienza che è l’anomalo contenitore scelto per un’operazione a metà tra l’autopromozione politica dell’autore (protagonista di un’azione peraltro meritoria) e il frettoloso approssimativo tratteggio di una serie di colossali problematiche e vicende contemporanee che, lungi dall’essere messe a ferro e fuoco da questa, che tutto si può definire tranne che inchiesta, alla fine restano in un’ombra ancor più fitta di quanto non fossero prima per il povero lettore che, lui sì, messo a ferro e fuoco da un continuo alternarsi di domande pilotate e risposte inconcludenti, non si sa come faccia ad arrivare in fondo.

Ruby – Berlu: la CEI verso un nuovo richiamo

Ma chiccazzo se ne frega.

Poco da ridere

E poco da esultare.

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Toto’ Cuffaro.

La coppola, i cannoli, la voce della pubertà di Paperino.

Per la Cassazione – definitiva, Storia – ha assistito e favorito Cosa nostra.

La mafia. Lupare, eroina, i cadaveri nelle macchine; teli sui marciapiedi e rivoli di sangue.

Cuffaro.

La verità della Cassazione ha qualcosa di incomprensibile; eticamente, esteticamente, antropologicamente. Osceno. E c’è qualcosa di abissale e vertiginoso anche nel Cuffaro consapevole della caduta; già da prima della condanna. Nell’attesa, nelle dichiarazioni. Da uomo di Stato.

Ecco perché la prima pagina del Fatto Quotidiano di oggi fa un po’ schifo, esibizione trionfante com’è di un uomo in un momento letteralmente tragico; perché gli anni son lunghi per tutti. Non è uno scherzo, che si tratti di uno spacciatore, un ladro o un ex senatore, andare in galera.

A parte che non c’è niente da gioire, dato il quadro che emerge, in cui la politica ha fatto da olio, da materiale di consumo e strumento per ingranaggi più grandi di lei – mafiosi – è stata serva di una criminalità che s’è mangiata tutto e ormai muove le istituzioni come un burattinaio, forse per l’uomo, alla luce delle ultime ore, si sarebbe potuto avere un filo più di tatto.

22.1.11

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La meglio gioventù

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Dipinto di David Cobley.

Il Fatto Quotidiano ha ricostruito tutti i bonifici effettuati dal Caimano alla 26 enne cagliaritana [Alessandra Sorcinelli] nell’arco di poco più di un anno. Si scopre così che la somma totale è molto più alta: la Sorcinelli ha ricevuto dall’11 gennaio 2010 al 17 gennaio 2011, ben 115 mila euro dal Cavaliere. Uno stipendio da manager, il doppio di quanto prende un magistrato di Tribunale. Quattro volte più dello stipendio sudato da una giovane professoressa della scuola primaria. La vita delle Berlusconi-girl d’altro canto è dispendiosa. In un’intercettazione, Nicole Minetti racconta con invidia a Barbara Faggioli che la ‘preferita’ del momento del Cavaliere – tale Aris Espinosa di 22 anni – aveva comprato in un colpo solo nove paia di scarpe. Una bella vita. Alessandra Sorcinelli nell’intervista ad Affari Italiani dice: “A Milano all’aperitivo non si può non andare da Radetzky a corso Garibaldi. Per l’estate c’è il giardino aperto del Bulgari, molto chic. Per cena, io adoro il Finger o il ristorante di pesce La Risacca e anche il Bolognese. Per ballare scelgo a seconda del giorno: lunedì è la serata dello Special, il mercoledì all’Armani, il giovedì e venerdì al Cavalli e alla domenica all’Hollywood”.

Marco Lillo, Squillo e cash, FQ, p. 3.

20.1.11

19.1.11

Il cliché del cachet

In esclusiva la redazione di teofog è venuta in possesso dello straordinario documento.

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Il foglio paga relativo alla prestazione di Karima El Mahroug nella puntata odierna della trasmissione di Alfonso Signorini.

16.1.11

In forma patologica, il berlusconismo appartiene alle vicende, e alle metamorfosi, della democrazia ‘dei moderni’ e delle sue crisi; e deve essere situato su questa lunghissima onda, se si vuole effettivamente comprenderlo, criticarlo o rifiutarlo.

Non si tratta – conviene ribadirlo – di un problema solo italiano, ‘provinciale’; né di una patologia che coinvolge solo la destra. È una tendenza generale dell’epoca nella quale si intrecciano, in modi complessi, dispotismo, plebiscitarismo, populismo, dinamiche di tipo carismatico. Essa ha investito anche le forze del centrosinistra che – per cercare di ristabilire un nuovo circuito di comunicazione tra “governanti” e “governati” – si sono affidate, in Italia, alla ‘tecnica’ delle ‘primarie’. Le quali, in una sorta di eterogenesi dei fini, invece di riattivare la dinamica democratica (come è pur sembrato, in una prima fase), si sono progressivamente rovesciate in una forma di plebiscitarismo carismatico che ha accentuato, in chiave demagogica e populistica, la crisi della democrazia italiana.

M. Ciliberto, La democrazia dispotica, Laterza, Roma-Bari, 2011, p. XIV.

La democrazia dispotica

O “Il mio ragazzo”

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Il mio fraterno amico e fido compagno al primo tocco si anima come non fossero tre i mesi passati dall’ultimo languido incontro, e così in mezz’ora casa-Feltrinelli-casa; prima uscita del 2011 che tra l’altro in una giornata che più o meno appariva a poche vie di distanza circa così:

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anche il giubbottone invernale di recente (e non abbordabile) acquisto – pur non avendo velleità tecniche di sorta e in condizioni di temperatura non rigida dà accettabile prova di sé.

Ed eccoci qui.

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A noi.

E che sia all’altezza.

10.1.11

Dire meno per dire più

E vero

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E si torna lì. Al monopolio delle menti giovani e malleabili. Almeno non ce lo nascondiamo.

Italia

L’ultimo sfregio

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Dopo aver infangato per sempre una locuzione ad uso sportivo, il concetto di libertà e quello di popolo, finalmente il folle progetto distruttore del Caliere si appalesa in tutta la sua agghiacciante radicalità.

E così sarà semplicemente, a-istituzionalmente, integralmente, il padrone d’Italia.

Comico.

9.1.11

La guerra di Silvio

O Panorama, la palla del peacekeeping, il pudore perduto e l’eversione al governo

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Fatto Quotidiano: “Stiamo trasgredendo l’articolo 11 della Costituzione?”

Generale Fabio Mini: “Far rispettare l’articolo 11 alla lettera (L’Italia ripudia la guerra, ndr) sarebbe ottimo, tuttavia il diritto internazionale, autorizzando l’intervento armato in casi particolari, di fatto permette di aggirare l’articolo 11. Dobbiamo quindi badare alla sostanza, che è quella di far riconoscere a tutti che siamo in guerra, in un teatro di guerra, contro avversari che ci fanno la guerra”.

Roberta Zunini, La Russa o il capo dell’esercito: chi si dimette? da Il Fatto Quotidiano, 8 gennaio 2011.


In questi giorni. Già la volontà espressa dall’ultimo povero alpino ucciso in Afghanistan sentita da qualche parte, di essere sepolto tra i caduti di guerra mi aveva fatto suonare come una sgradevole dissonanza. Caduti di guerra.

Oggi poi mi sono sciaguratamente imbattuto nell’ultimo rivoltante numero della rivista Panorama, che ormai gettata ogni maschera stride a un ritmo folle una sgualdrinesca tiritera che è quanto di più simile riescono evidentemente a fare le fiaccate penne della casa al levare un canto di lode verso l’editore di fatto e presidente del consiglio dei ministri: in copertina campeggia un faccione con la scritta “La mia guerra”. Guerra.

Poi la realpolitik del Generale Mini qua sopra.

Fa pensare.

A ragazzi di vent’anni ammazzati in terre lontane, tanto diverse da casa loro. Mandati al macello con vacue fanfare nelle orecchie e negli occhi il mito stantio della divisa. Perché l’Italia ripudia la guerra.

L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

La gente che l’aveva fatta, la guerra, aveva perso abbastanza amici, parenti, conoscenti e nemici da non volerci più ricapitare. Non erano degli hippy fumati come sembrano sempre sottintendere i realisti di oggi.

L’Italia ripudia la guerra perché dall’ultimo conflitto mondiale chi voleva capire ha capito che un conto son due eserciti che si scontrano, si danno di sciabola, e poi si siedono a un tavolo e decidono chi ha vinto si prende questo, chi ha perso si gioca quest’altro, e un conto è radere al suolo delle città, annichilire popoli.

Vieppiù nell’era moderna, in cui ogni guerra si è trasformata in un pantano di belligeranze e tensioni latenti senza una fine. L’Afghanistan e l’Iraq.

Fa pensare.

Ma bisogna fare violenza sulla propria mente per figurarsi in che agghiacciante fantasmagoria distopica si sarebbe potuto immaginare un mondo dove un individuo dello spessore di George Walker-Texas-Ranger Bush può avere tra le mani le leve di un congegno militare che può costare la vita a centinaia di migliaia di persone innocenti; semplicemente così. Perché gli è venuto in mente. E in cui un attempato ex cabarettista meneghino, divenuto misteriosamente ricco, divenuto misteriosamente potente al seguito di una classe dirigente più interessata ad amministrare il proprio che la cosa pubblica, divenuto ormai non più misteriosamente proprietario di un paese e di tutto ciò che contiene tra una villa, due mignotte e una tricoplastica, possa, in aperta violazione della Costituzione, sprofondare il paese di cui è proprietario in vicende belliche che niente hanno a che fare con gli interessi nazionali, ignaro delle conseguenze. Un clown dalle mani lorde del sangue di giovani troppo giovani, troppo avventati e troppo poco informati per sapere cosa vanno a fare.

Perché – checché ne dica notte e dì l’ormai inguardabile Massimo Fini – qua non c’è nessuna “razza Piave” da onorare come liberatrice di alcun Piave, ma dei ragazzini con troppi cazzi in testa che, tra fabbrichetta, disoccupazione, reality show e celodurismo, scelgono la divisa e vanno a sparare a della gente che non sa perché, senza sapere loro stessi perché. Giocano alla guerra e poi ci restano. E io ne ho pietà perché muoiono giovani, vittime due volte di un paese che non gli dà opportunità e li nutre di bugie.

La guerra di Silvio. Camuffata da “missione”, nascosta dietro le foto coi bambinetti, falsa, farsa, e inutile; ma pericolosa.

Senza senso.

8.1.11

L’inganno delle parole

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Non dite al liberalissimo Piero Ostellino che quasi due secoli fa il liberale Alexis de Tocqueville aveva capito cose che lui mostra di non avere ancora capito adesso. Per esempio che nelle nazioni sviluppate, la democrazia fondata sul sacro e indiscutibile “verdetto popolare” scivola facilmente in una sorta di dispotismo “dolce”, in una “servitù regolata, mi-te e pacifica”, che si combina “meglio di quanto si immagini con alcune forme esteriori della libertà”. Questo perché, scriveva il pellegrino francese nel 1835 di ritorno dal nuovo mondo, “i nostri contemporanei sono continuamente tormentati da due passioni contrastanti: provano il bisogno di essere guidati e la voglia di restare liberi. Non potendo liberarsi né dell’uno né dell’altro di questi istinti contrari , cercano di soddisfarli entrambi contemporaneamente. Immaginano un potere unico, tutelare, onnipotente, ma eletto dai cittadini”.

È FIN TROPPO banale, col senno di poi, leggere in queste parole un’anticipazione profetica di quello che è oggi il Popolo della libertà. Ma sarebbe una forzatura ridicola e insidiosa, che si può agevolmente ribaltare in chiave autoconsolatoria: se la democrazia era già in crisi nell’America dell’Ottocento, se la dittatura della maggioranza esiste dai tempi di Tocqueville, se fin da allora i cittadini abdicano volentieri al “libero arbitrio” per diventare sudditi, perché inveire contro il populismo del Cavaliere? Non siamo di fronte a un bubbone scoppiato all’improvviso, ma a un fenomeno che rientra nella normale epidemiologia dei sistemi politici moderni, e non resta che prenderne atto, come ci invitano a fare quasi quotidianamente i soloni “liberali” del Corriere della Sera, tanto inflessibili con “la piazza” quanto indulgenti verso il Palazzo (Grazioli).

Riccardo Chiaberge, QUELLE DERIVE DISPOTICHE TRA MARX E B., FQ, p. 14.

È da tanto che la democrazia, assunta la lettera maiuscola ed esibita in varie salse quale somma prova di autorevolezza politica da autorevoli personalità politiche come George W. Bush e Silvio Berlusconi, è diventata un totem lessicale in nome del quale si è persino uccisa della gente, per esportare questo presupposto del nostro vivere civile si è detto, che la vita civile gli uomini politicamente autorevoli son capaci di esportarla, come le banane e il nickel in pani, ma ci vuol autorevolezza; e nessuno sembrava volere o poter mettere dei freni alla deriva.

Ora c’è questo saggio di Michele Ciliberto, docente alla Normale di Pisa, che solo il titolo, Democrazia dispotica (Laterza) fa venir voglia; speriamo.

Il girocollo, le tute blu e i saldi d’inverno

Ovvero chiosa tessile a questo post

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Che non vorremmo far confusione.

Perché è po’ passato in cavalleria ma, tra la tracotanza e la supponenza del manager italocanadese in maglioncino (presumibilmente di cachemire filocomunista), il desolante servilismo di tutta la sua clacque, radio- cine- tele- foto- politica, cartacea (igienica e non), la nullità dei sindacati, questa redazione è tutta con i lavoratori.

Che in fin dei conti sono sempre quelli senza coltello, né ombrello, dalla parte del manico.

7.1.11

Ve la meritate, la mafia

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Quando un uomo con l’azienda incontra un uomo con la famiglia, l’uomo con la famiglia descrive quasi immediatamente un angolo di almeno novanta gradi

O La Rivoluzione Culturale

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Marchionne, Mirafiore e i diritti compressi

È da un po’ che nella redazione di teofog è in atto un intestino dissidio di cuori e di menti che ha tenuto l’argomento Fiat lontano dalle prime pagine della prestigiosa testata. Ma a un certo punto, le ferie le ho adesso, se no quando mi ricapita il tempo.

Bo. Perché noi c’abbiamo nel nostro piccolo anche lavorato per la casa torinese, non proprio auto ma tipo; e era l’unico posto dove si lavorava sette ore scarse e poi finiti i telai del giorno, un’ora fuori a fumare le sigarette prima di timbrare. Non era proprio l’inferno del GuLag.

L’ultimo capitolo della storia ormai non più d’amore con il famoso girocollo è stato scritto con l’accordo di Mirafiori. I sindacati filoazienda diventano i rappresentanti unici, il più rompicazzi viene tagliato fuori; in cambio si lavora un po’ di più e si tira la cinghia su malattie strategiche a ridosso di feste e partite. Certo. Fa riflettere che un amministratore pacato e urbano abbia messo sotto ricatto tutte le altre parti; fa riflettere un modello di relazioni dove il capo accetta l’interlocuzione solo tra il livello del sì capo e quello del sì signore; e i lavoratori hanno voce come nei romanzi di Dickens. Ma come andava nelle aziende del gruppo è noto, e non poteva mica esser sempre così; potevano permetterselo in quel paio di generazioni i cui esponenti hanno dato i natali a quelli dell’età di questa redazione, ma poi?

La grande fabbrica novecentesca dovrebbe essere un residuato museale, e invece è ancora qua, e i diritti se ne vanno. Ma però. Non è per fare i soliti. Ma cazzo ma è già così ovunque. Con affetto, operai Fiat: chi c’è oggi che può permettersi certe cose? In generale. La modernità è la settimana da cinquanta ore per mille euro; cioè anzi, sarebbe meglio uno stage gratuito da 55 ore settimanali, zero pause e lavoro nel fine settimana. Forse che gli stagisti eleggono i rappresentanti sindacali? Forse che tra co.co.pro. c’è la pausa mensa pagata?

Sembra una battaglia di retroguardia, coi mulini a vento; la frana si è staccata molto più in su, e l’abbiam lasciata venire – accettando, ringraziando, inghiottendo. Adesso la Cina è qui, e noi siamo sul loro stesso piano: ci fanno neri.

Questa è la Storia. E c’è poco da referendare su quella. Mi sa.

6.1.11

Giulio Mani di Forbice, Maristar e l’Ordine dei cerusici

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Questo ingresso dei privati nei Cda di fatto sancisce la necessità di avere relazioni con le imprese e il territorio che molti considerano requisito essenziale. Anche secondo il rettore del Politecnico di Milano, Giulio Ballio, sarebbe un'innovazione positiva se, così vagamente formulata, non finisse con "l'esporre gli atenei meno grandi e organizzati all'assalto dei poteri territoriali. Il rischio è che le università si facciano dettare dalla politica i nomi delle persone da inserire". E la faccenda non è banale visto che il Cda dovrà anche occuparsi di attivare o sopprimere "corsi e sedi". Con che criterio? Se a oggi non è piaciuto il criterio di attivare corsi e istituire sedi anche per piazzare allievi e parenti, potrà piacere ancor meno quello tutto territoriale che imponga lo studio di dialetti o storie locali risibili. O che dirotti le menti più brillanti dell'ateneo a risolvere quesiti di bottega degli imprenditori. Insomma, senza un forte incentivo all'eccellenza con conseguente finanziamento alla ricerca, che dovrebbe essere la cifra e l'obiettivo di un ateneo, l'ingresso del "territorio" nella governance potrebbe tradursi in un'ulteriore provincializzazione delle università. E nella lottizzazione politica del suo governo.

Piero Ignazi, Questa riforma è da riformare, Espresso.it.


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Spesa pubblica in istruzione superiore 2007Dati OCSE.

Diciamo.

Che raramente nella storia c’è stato qualcuno che abbia avuto un’idea di cosa fare in generale. A parte i soldi. Nella cosa pubblica. Con la cosa pubblica. E io non gli do torto; lo farei anzi anch’io, tanto per esser chiari.

Però allora se bisogna esser chiari non chiamiamola “Riforma Gelmini” questa cosa. Non per solidarietà civica; non solo perché non ne ho, ma perché come si sa Mariastella è di giù. Chiamiamola “Riforma Tremonti-Tosi”. Che il ruolo di Tremonti si capisce, e per Tosi si intende l’ipoteca sulla legge di quella parte di leghismo rampante già entrato a piedi pari nelle banche come leva per tirarsi fuori dai riti stantii, i prati, i raduni, i baffoni a manubrio della Lega prima maniera, ormai morente e degenerata in xenofobia semplice o in berlusconismo, e che col sindaco dalla bocca larga, Cota e Maroni punta di diamante cerca strade nuove. E dopo le banche socchiude una porta per le università, per uscir dal ghetto.

E poi basta.

Il resto si sa come fa Tremonti. Per lui le cure sono da sempre le stesse: digiuno e salassi. Come i cerusici dell’ottocento; avrà visto che a volte allora funzionava.

O ci vorrà abituare al sistema sanitario del nostro domani.

2.1.11

Mondo E Finanza

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O due cose che han poco a che fare

La grancassa delle banche d’affari è partita già nella primavera dell’anno scorso quando, il 21 aprile, Marchionne annunciò lo split delle attività. Da allora è stata una specie di marcia trionfale. Il titolo del gruppo di Torino ha guadagnato il 50 per cento circa nel 2010 (addirittura l’80 per cento se si considerano gli ultimi sei mesi), mentre nello stesso periodo l’indice di Borsa è arretrato di oltre il 13 per cento. Insomma, i mercati finanziari puntano alla grande su Marchionne, anche se il titolo Fiat resta ancora lontano dai massimi raggiunti nel luglio del 2007, prima della recessione. Ma ciò che appare per certi aspetti paradossale è che il boom della quotazione ha accompagnato un vero e proprio crollo dei risultati commerciali del gruppo, con la perdita di quote di mercato a favore di più diretti concorrenti.

Vittorio Malagutti, La FIAT a pezzi, FQ, p. 10.

Questo per dire o ripetere che, anche con l’anno nuovo, obbligato fil rouge delle pubblicazioni di oggi (più che altro per i consistenti residui di alterazione alcolica dell’incolpevole o quantomeno preterintenzionale estensore di codesta opera a non-stampa), siam sempre nella stessa situazione grottesca che tutti noi e voi viventi e nascituri osserviamo in questo tetro avvio di secondo decennio del terzo millennio dell’era volgare (sul piano macroeconomico): che se segare i rami su cui si è seduti avesse un valore contrattabile sul mercato, la gente non farebbe altro.

Da molto tempo nebulosamente la follia dei mercati finanziari globali aleggia più o meno da presso sotto l’approssimativo scrutinio delle nostre poco lucide (in generale, non solo il due gennaio) menti. Ma non si riesce mai a trattarla esaustivamente. Cioè che si facciano i soldi con i soldi, speculando su strumenti aggregati che ti fanno guadagnare se un paese, o un’azienda vanno a remengo, e che il valore delle azioni di un’industria manifatturiera aumenti quando la produzione langue e forse è in procinto di esser chiusa, gettando interi  comparti economici e città e comunità sul lastrico, che la gente debba far tre lavori per campare mentre un banchiere o un assicuratore guadagnano più di quello che potrebbero spendere in due o tre generazioni di fancazzisti manibucate, è un fatto – che non può non indurre profondo smarrimento.

Lotto per mille

di Emanuele Fucecchi

[Gli] eventi hanno costretto il cardinal Ruini, vero amministratore delegato della Chiesa italiana da più di trent’anni, ad uscire di nuovo allo scoperto. Lo ha fatto con un convegno celebrativo per l'unità d'Italia. Il titolo: “Le dita nella presa di Porta Pia”. Sottotitolo “Dopo un secolo e mezzo, la Chiesa è solida, lo stato liquido”. Nel convegno si appoggia il Federalismo nordista, l'Autonomismo meridionale, il Frazionismo tirolese, lo Scissionismo anconetano promuovendo la creazione di un protettorato vaticano da Monteverde a Rocca di Papa comprendente anche l'Ikea di Anagnina, tradizionale serbatoio di masse remissive . L'Italia, infatti, è in ginocchio: è il momento, perciò, per il premier, di aprire la patta e per il cardinale che lo assiste di vendere indulgenze. Sarà istituito infatti, molto a breve, il lotto per mille, una lotteria dello Stato interamente devoluta alla Chiesa. In cambio il premier ha chiesto la derubricazione della prostituzione dalla lista dei peccati. Segno del nuovo simpatico clima, la telefonata pubblica a Don Gelmini. “Io sono come te” ha detto Berlusconi. “Ti pacciono minorenni” ha risposto emozionato l'anziano sacerdote tra la commozione dei presenti.

Emanuele Fucecchi, Misfatto, p. III.

Da sinistra verso destra

In prima fila

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All’estrema sinistra Melchiorre Fidelbo in Finocchiaro (la sua Solsamb Srl si è occupata dell’informatizzazione del Presidio Territoriale per l’Assistenza di Giarre [CT] – appalto affidato senza gara); Massimo Russo, magistrato, assessore della giunta Lombardo; Anna Finocchiaro in Fidelbo, capogruppo dei senatori del Pd, applegeek e ex contendente alla poltrona di presidente del consiglio regionale siculo (perdente con largo margine); Livia Turco, ex ministro della Salute. L’ultimo chi lo sa.

alta Discarica dello stato

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La Costituzione dice che il presidente, quando gli arriva una legge dal Parlamento, ha due opzioni: se gli piace, firma; se non gli piace, respinge al mittente con messaggio motivato alle Camere. La firma con monito, con criticità, con faccia scura, con naso storto, con ditino alzato, con mano sinistra o su una gamba sola non è prevista. E in ogni caso, una volta promulgata, la legge va sulla Gazzetta Ufficiale ed entra in vigore. Come, e soprattutto perché, il governo dovrebbe correggerla dopo “ampio confronto” con gli studenti ignorati per tre anni, soprattutto ora che il Quirinale ha scaricato l’unica arma in suo possesso per imporglielo? Naturalmente, come si fa col nonnetto che raccomanda di coprirsi bene, la Gelmini ha assicurato che “terrà conto” delle osservazioni.

Marco Travaglio, FQ (il primo del 2011), p. 1.


Mentre noi di teofog diciamo all’inizio dell’anno per cercar di non dirlo più, anche se la tentazione è sempre forte, che questo inqualificabile ometto che ha pervertito dall’interno l’unica istituzione che poteva rimanere (temporaneamente) indenne dal contagio berlusconide, questa betoniera di trovate paracostituzionali, semicostituzionali e similcostituzionali per l’esercizio di una carica mai caduta così in basso, è il ritratto dello stato in cui questa nazione al centocinquantesimo anno dalla sua unificazione versa – e non da ora.

Peggio di così, solo scavando.