27.2.11

Una società distopica

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Le false voci sono distruttive non solo quando sono orchestrate per diffamare singoli individui; alla lunga possono minare la stessa democrazia. L’autore [Cass Sunstein – NdR] immagina lo scenario futuro di un società “distopica” in cui […] “le convinzioni collettive sono il prodotto di network sociali che funzionano da camere di risonanza in cui le voci divampano come gli incendi nella foresta; in cui ogni diceria viene accettata se mette in cattiva luce coloro che sono percepiti come avversari”.

in Federico Rampini, Occidente Estremo, Mondadori, 2010, pp. 115-116

Presadiretta (finché c’è Iacona c’è vita)

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Oggi, nel disastrato bilancio della sanità, risultano sotto la voce di “beni da reddito”, cioè da far fruttare. […] estensioni immense di terre, boschi, pascoli ed enormi aziende agricole, castelli, persino interi borghi del 700, e ancora, mille appartamenti nel centro storico di Roma, il più caro di Italia. Ebbene, si tratta di un patrimonio pubblico immenso che si continua a sperperare. Stasera a Presadiretta vi faremo vedere come questo patrimonio sia stato in parte già svenduto, ben al di sotto dei prezzi di mercato, dove gli unici che non ci guadagnano mai sono gli enti pubblici, il bene comune, l’interesse di tutti, mentre finanziarie, banche e i soliti “clientes” quelli sì, con ricarichi del 100 per cento. […] Quando stasera vedrete all’opera i medici e gli infermieri del pronto soccorso dell’ospedale San Camillo, uno dei più importanti della capitale, vi renderete conto che cosa significa lavorare oggi negli ospedali pubblici. […] Questi sono i risultati di anni di malapolitica, che adesso dobbiamo pagare tutti, miliardi di euro di debiti sulle nostre spalle. Del resto questo è il Paese dove l’igienista dentale di Silvio Berlusconi è consigliere della Regione più importante di Italia, a 9000 euro netti al mese. Per volere del Presidente.

Riccardo Iacona, Fq.

Milleproroghe – Devolve et impera

L’articolo 2-quater, comma 1, prevede che nei comuni con più di 250mila abitanti venga “avviata una sperimentazione in favore degli enti caritativi” nella gestione della social card della durata di dodici mesi. […] In altre parole, lo Stato assegnerà la carta acquisti a imprecisati “enti caritativi” e saranno questi ultimi a dover decidere a chi dare la social card e a chi no, sottraendo questo compito ai servizi assistenza dei comuni. È una rivoluzione nella gestione del welfare. Invece di dare i soldi direttamente ai poveri, lo Stato li darà agli “enti caritativi”.

Tito Boeri e Giuseppe Pisauro, MILLEPROROGHE PER IL NUOVO MILLENNIO, LaVoce.info.

Su quali saranno gli “enti caritativi” deputati ad amministrare questo nuovo stato sociale devoluto si potrebbero già avanzare delle spericolate illazioni. Ma non sarebbe da seri professionisti della cronaca quali quelli che pensosamente si aggirano allisciandosi le folte barbe e i fitti favoriti in questa redazione; quindi chissà.

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Not in her name (in nome di chi?)

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“Fino ad alcuni giorni fa il Pdl sosteneva che io non fossi mai stata iscritta nel partito, mentre invece l’anno scorso aveva pensato bene di utilizzare addirittura la mia firma in modo illegale, strumentalizzando così la mia persona. Questa è la conferma che l’elezione di Nicole Minetti e di tutto il listino bloccato di Formigoni, sicuramente per quanto attiene alla mia firma, è assolutamente illegittimo”.

Sara Giudice: Non firmai per la lista Minetti, Fq, p. 2.

26.2.11

Buongiorno

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Risveglio, 24.02.2011.

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There is little doubt that Libya, even without Mr Qaddafi, will remain a messy and possibly violent place. His rule has burdened it with a legacy of inadequate institutions, tangled laws and burning animosities. Sorting through this wreckage will take time, energy and ingenuity. Yet Libya does have some things going for it. It has plenty of cash, with foreign reserves alone totalling nearly $140 billion. Its talented exiles are eager to return. And, in a sense Mr Qaddafi is unlikely to have foreseen, the trauma of his rule may have forged a national identity much more heartfelt than it was before.

Endgame in Tripoli, the Economist, 24 febbraio 2011.

13.2.11

Promemoria

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Primavera 2007.

Solo delitti

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Ma soprattutto c’è una enorme responsabilità politica di chi sulle politiche della sicurezza ha lucrato voti e consenso. È più facile inasprire le pene, inventare nuovi reati che fare prevenzione e cura sul territorio. Così le carceri sono diventate l’altra faccia nascosta dell’Italia, il tappeto sociale sotto il quale mettere la polvere che nessuno vuole davanti a casa propria, delle vere e proprie discariche sociali. Ma almeno funzionano? I dati ci dicono di no. Il 67 per cento dei detenuti che passano la loro intera pena nelle celle delle nostre prigioni torna a delinquere. La missione principale, iscritta nell’articolo 27 della Costituzione e cioè che “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato” viene largamente disattesa. Ma almeno costano poco i detenuti? No, dai 120 ai 150 euro al giorno, per ognuno dei 68 mila reclusi negli istituti italiani. Molto di più di quanto costa un tossicodipendente in una comunità che riesce a curarlo. Portano tanti voti ai partiti dell’“ordine” e della “sicurezza”? Si, ma questo è anche colpa nostra.

Riccardo Iacona, 22 ore seduti: il dramma delle carceri a “Presadiretta”, FQ, p. 8.

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dal Misfatto.

Uno schifo

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In una Brescia già Leonessa e ora umile ancella, assediata dall’inquinamento, vessata da inutili targhe alterne, triste e disumana, l’amministrazione comunale non trova di meglio che organizzare nel centro cittadino – accanto ai numerosi palchi e palchetti allestiti per San Valentino – una bella cerimonia di popolo, banda, fiaccole e alpini, con carrozze e cocchieri (tutti portati in centro non so da dove con i suoi bei rimorchi e mezzi pesanti), che simboleggia la richiesta di protezione, buona fortuna, salvezza, prosperità e doppi incarichi che l’istituzione civile, il Comune, fa ai santi patroni – cioè alla Chiesa (proprio con una delibera comunale, riportata, si presume senza spese, su una pergamena poi donata al parroco della chiesa di San Faustino e Giovita) – e che viene magnanimamente accordata sotto forma di un cappello-talismano consegnato ai rappresentanti della politica cittadina. Il tutto disseppellendo non a caso dai putrescenti visceri della talvolta imbarazzante storia civica una tradizione medioevale del peggior clericalismo destrorso e fascistoide, e rifondando la ridicola “confraternita dei Santi Patroni”. Nel 2011.

E così poi la stampa cittadina e l’emittente televisiva locale, pesantemente infiltrati dalla confederazione episcopale, si trovano davanti praterie in cui affondare in contropiede, tra l’altro intervistando vecchie signore che commentando commendano il buon costume di rinsaldare i legami tra stato e chiesa per arginare la corruttela dei tempi. Come si sia arrivati a questo punto non si capisce.

Emergenza spazio nella Leonessa

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Drammatica testimonianza di derelizione sociale raccolta ieri in via Gramsci: un cittadino bresciano costretto a invecchiare i salami in una Q8 parcheggiata sul marciapiede.

12.2.11

Shoes up - 3

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Shoes up - 2

 

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Shoes up - 1

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Bravi, ragazzi

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Viscido bavoso

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o Cane schifoso.

Non saprei come intitolarlo questo post che parla di uno scrittore fantasy non bello, non brillante, ma facile alla battuta greve, non molto sveglio, ma diciamo: pronto; che quando c’è da difendere l’ometto che gli paga vitto e alloggio non si tira indietro neanche se deve inventare le storie più marchiane, o fare vedere quella sua faccia un po’ così a tutto il paese. Che questo essere del sottobosco paludoso della narrativa del fantastico, prende, un giorno, e in televisione dà poco meno che della troia a una giovane, capace, seria professionista del giornalismo. E dall’alto in basso ergendosi sul grottesco cumulo di escrementi che è la sua carriera, ha la faccia di zittirla.

 

Ma passerà il treno della storia bel castenedolese cinerino, e farà giustizia senza aule e senza sbarre.

L’informazione no

O Ma che regime e regime d’Egitto

Mah l’informazione. L’informazione non è che non è libera in Italia; e poi, cosa c’entra, pensi che i cittadini si fanno un’idea di quello che succede e per chi votare guardando la televisione? Ma andiamo, che gli italiani non sono mica così imbecilli da farselo dire da un programma tv, cosa pensare; san pensare con la loro testa.

Però nel dubbio,

L’ultimo colpo che può distruggere l’informazione televisiva è la bozza di Butti, anticipata dal Fatto il 20 gennaio […]. Quattro i punti più sensibili. Primo: se un programma tratta un argomento il lunedì (Porta a Porta), chi va in onda nei giorni successivi deve fare altro “almeno nell’arco di otto giorni”. (Norma anti Annozero, Ballarò). Secondo: quando c’è “un opinionista che esprime una tesi è indispensabile garantire uno spazio adeguato a chi ha sensibilità culturali diverse”. (Norma anti Marco Travaglio). E quindi: doppio editoriale, doppio conduttore. Terzo: non utilizzare la satira per fatti di attualità. (Norma anti Parla con me). E quarta: “Non può essere consentita la conduzione a chi ha interrotto la professione giornalistica per assumere ruoli politici”. (Norma anti Michele Santoro, ex parlamentare europeo).

Carlo Tecce, Scure finale, FQ, p. 4.

L’impressione che se ne potrebbe avere è che si preparano un processo imbarazzante e una campagna elettorale penosa, con scoperchiamento totale della cloaca del secondo impero; ma che gli scomodi dettagli non si vuole lambiscano le sensibili orecchie e i fanciulleschi occhi del settanta percento di elettori italiani che non legge un giornale.

6.2.11

Autocandidatura

O preoccupate confessioni occupazionali

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Autorevole candidatura offresi. Il candidato:

Nome: Teofog
Età: 30.
Residenza: Padania centale.
Titolo di studio: Laurea in batteria.
Voto di laurea: Come gli altri.
Esperienze professionali: - Operaio metalmeccanico
- Addetto panetteria
- Magazziniere
- Traduttore un tanto al chilo
- Promotore telefonia
- Postino
Competenze informatiche: Ho un blog.
Competenze linguistiche: Confuse
Altro: Lieve forma di irsutismo.

cerca impiego con impegno inferiore alle dodici ore al giorno, reddito netto annuo auspicato € 30’000 o almeno per metter un giorno piede una banca senza ilarità nel personale, e per non dover vedere tutti i giorni i genitori anziani e petulanti.

Sul sito teofog.blogspot.com sarà possibile per l’imprenditoria italiana e internazionale ritirare un tagliando per prenotare un colloquio personale con il candidato.

Presa Diretta

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La storia della spazzatura di Napoli è forse il più grande esempio di come la malapolitica sta distruggendo il Paese, il suo territorio, le sue risorse, rischiando di far pagare alle nuove generazioni i disastri che ha prodotto per parecchi decenni ancora. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicarle tutta la puntata di stasera. E lo faremo con precisione, senza fare sconti a nessuno.

VI FAREMO VEDERE come hanno buttato per anni direttamente a mare e senza trattarle migliaia di tonnellate di percolato, quel terribile liquido nero che si produce nelle discariche quando dentro ci finisce tutto, distruggendo il mare del litorale domizio e riempiendo la spiaggia di vermi (per questi reati, anche se scarcerati ieri, sono indagati Marta Di Gennaro, ex vice di Bertolaso alla Protezione Civile, e Corrado Catenacci, ex commissario per l’emergenza rifiuti in Campania). Su questo scempio le ditte private ci hanno fatto soldi e i politici hanno raccolto potere e voti. […] E poi vi faremo vedere da vicino tutta l’industria che è nata attorno al fallimento del ciclo dei rifiuti in Campania: 18 mila addetti, il doppio di quelli che servono nel resto di Italia per raccogliere e differenziare i rifiuti, 18 consorzi di bacino che dovevano servire a implementare la raccolta differenziata e che invece sono serviti solo ad assumere le persone. […] Perché la mala politica ha trasformato la spazzatura in oro e il territorio, la salute e la vita dei cittadini in spazzatura.

Riccardo Iacona, I rifiuti che distruggono il Paese, FQ, p. 13.

Sulla pelle di tutti

Fossalta di Piave, Veneto. Nell’immaginario italiano, il nord del nord. Nebbia, lunghe strade, pioppi. Furgoncini e capannoni della “piccola impresa”, anima del Paese. Qui la storia di “ordinaria ferocia” che ci ha raccontato Luca Telese. I genitori di una bimba che sul giornale abbiamo chiamato Speranza, non possono più pagare la retta della mensa dell’asilo. Il papà, senegalese, ha perso l’impiego da metalmeccanico che aveva in Italia.[…] Le maestre della bimba s’inventano un modo per far mangiare la bambina assieme ai compagni: le cedono a turno il posto a tavola. E a turno si arrangiano. Ma al sindaco leghista del paese l’intelligenza della generosità non piace. Prende carta e penna per spiegare che le cattive maestre incorrono nell’accusa di “danno erariale” nei confronti del Comune. Il posto-pasto è incedibile. […] Purtroppo il tempismo è tutto: non è questo il momento di essere cattivi, né del “dura lex, sed lex”. Il senso dell’altro è la nuova parola d’ordine della politica, la destra scopre il lato umano. È sempre Natale in Italia: gli esponenti del Pdl in tv lo ripetono in continuazione. Il ministro Gelmini (delega all’Istruzione) deve spiegarlo al suo collega di partito, sindaco di Fossalta. È stata lei a raccontarci, seduta nel salotto di Vespa, che il presidente del Consiglio fa moltissima beneficenza. Nei viaggi aerei tra Roma e Milano, non fa che firmare assegni per i bisognosi.B. l’ha confermato venerdì, parlando del caso Ruby (un’altra extra-comunitaria nei guai):“Il fatto è che sono generoso, se qualcuno mi dice che non può comprare una macchina io la regalo”. Il sindaco di Fossalta sa a chi rivolgersi.

Silvia Truzzi, Sulla pelle di una bimba, FQ, p. 18.

5.2.11

Puttanate Non le Leggo

Acronimi II

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Bisogna sapere che ai radiatori spira un’aria, torrida, come è giusto che sia per un produttore di articoli idrotermosanitari, ma resa ahinoi pesante e viziata da una componente putrida e marcescente sempre più difficile da digerire per lo staff di orientamento filosofico positivista: una massiccia e incontrollata invasione di PNL.

L’abominevole programmazione neurolinguistica si sta infatti insinuando come una micidiale corrosiva sabbia sahariana in tutti gli interstizi e gli orifizi lasciati scoperti dall’incauto dipendente, dilagando nella vita aziendale a forza di libercoli esplicativi, corsi e impervie tassonomie. E in questa danza macabra in cui la pestilenza pseudoscientifica ha trascinato secoli e millenni di evoluzione culturale umana, l’unico baluardo dai piedi d’argilla, sordo al sinistro ritmo scandito dai rozzi tamburi della formazione aziendale, storicamente impermeabile a qualsiasi forma di movimento organizzato, resta – orgogliosa ed atterrita – la redazione di codesta testata.

Ed è con sgomento che testimonio che la perdurante incolumità della redazione dai fantozziani corsi (facoltativi) non retribuiti di sabato a cui tutti si sono iscritti, tutti, e agli interminabili sproloqui e scrupolose simulazioni di cui è ormai punteggiata l’agra esistenza di qualche centinaio di sventurati lombardi contemporanei, è garantita da una sola esile, fortunosa circostanza: che la responsabile dell’ufficio, signora di mezza età e dubbia igiene mentale, la Grande Untrice del moderno morbo subdisciplinare, proprio alla vigilia del grande scoppio pandemico – informandosi melliflua sulle nostre conoscenze in materia – aveva appreso che, per chissà quale crudele bizzarria della sorte, effettivamente, nella nostra degenere infanzia universitaria c’era persino una conferenza, di PNL. Solo questo ci risparmia, unici e terrorizzati, i grotteschi rituali del ritrovo feriale con mugugno. Solo questo ci salva dalla perdizione. Ma aiuta anche aver d’istinto taciuto che quella conferenza l’avevamo abbandonata trattenendo con difficoltà risa di scherno.

L’acronimo che non t’aspetti

MILF

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Moro Islamic Liberation Front.

Giuro (l’ho visto su Internazionale).

La globalizzazione dei furbetti

di Vladimiro Giacché

FQ, p. 18 – in versione (quasi) integrale perché è capitale.

Non passa giorno senza che una nuova voce si aggiunga al coro: “Chi lavora deve privarsi di qualche diritto. È la globalizzazione che lo impone”. Sul tema l’accordo è bipartisan. […]

Con l’inevitabile variazione sul tema: la Cina. John Elkann, ad esempio, ha sentenziato con aria grave: “La Cina esiste, è una grande realtà con la quale dobbiamo confrontarci”. Vero: e allora perché la società di cui è il principale azionista, la Fiat, non ci si confronta? Perché il fatto è che, mentre di automobili cinesi in Italia non se ne vedono, la Cina è invece inondata di auto occidentali. Tranne quelle della Fiat, che da quel mercato è assente.

Ma la frase di Elkann non è soltanto un autogol, è il sintomo di un approccio sbagliato al problema della crescita dei paesi emergenti: che non sono una minaccia, ma una grande opportunità per chi la sappia cogliere. Questo è già vero oggi, ma lo sarà ancora di più in futuro. Lo dimostrano due recenti ricerche, prodotte da McKinsey e da Standard Chartered. Entrambe prendono in considerazione un orizzonte temporale che va sino al 2030, e le loro conclusioni sono sostanzialmente convergenti: il mondo sta per vivere un grande periodo di crescita, simile a quello che abbiamo vissuto tra il 1945 e il 1970.

La novità è che questa volta lo sviluppo sarà trainato dai giganteschi investimenti che saranno effettuati soprattutto in Asia (in particolare Cina e India), ma anche in America Latina e Africa. […] In questo nuovo scenario il successo dei Paesi più sviluppati dipenderà più che mai dalla ricerca, dalla tecnologia e dalla capacità di innovare. E qui cominciano le dolenti note per l’Italia. Ecco cosa dice l’Istat in proposito: “Gli investimenti in ricerca e sviluppo (R&S) e in innovazione segnalano un forte svantaggio dell’Italia rispetto alle altre importanti economie europee anche in relazione alla capacità innovativa espressa dal sistema delle imprese. La spesa complessiva in R&S, stimata per il 2008 nel-l’1,2 per cento del Pil, presenta un valore analogo a quello raggiunto alla metà degli anni Ottanta, decisamente lontano dalla media europea (circa 1,9 per cento). Solo il 37 per cento delle imprese manifatturiere italiane conduce attività di ricerca (contro il 70 per cento di quelle tedesche e il 59 per cento delle francesi) e il 28 per cento delle imprese produce servizi ad alto contenuto di conoscenza (ultimi nel confronto con le principali economie europee)”.

Investimenti in ricerca significano innovazione di processo e di prodotto e miglioramento della produttività del lavoro. È questo che conta, ben più che le ore lavorate. E infatti – e questo è un dato che sottoponiamo volentieri alla riflessione dei teorici del lavoro (degli altri) – in Italia già oggi non si lavora di meno, ma di più che in Germania: per l’esattezza 1.807 ore medie annue contro 1.429 (dati Ocse riferiti al 2007); in Fiat 40 ore settimanali contro le 35 della Volkswagen (a fronte di uno stipendio molto più basso). Nonostante questo, la Volkswagen (e non la Geely cinese) continua a erodere quote di mercato alla Fiat, in Italia e altrove. Come mai? Perché, per dirla con Patrick Artus, responsabile della ricerca economica di Natixis e autore di un report recente sui differenziali di competitività tra i paesi europei, “il tempo di lavoro non gioca alcun ruolo”, mentre ben più importanti sono gli incrementi nella produttività del lavoro: notevoli nel caso tedesco, inesistenti nel caso italiano. È questo che provoca la continua perdita di competitività di prezzo delle imprese italiane, recentemente ricordata anche dalla Banca d’Italia.

Invertire la tendenza non sarà facile. Potremo riuscirci solo se affronteremo il problema della globalizzazione da un punto di vista diverso: cominciando finalmente a occuparci non di quello che fa il lavoro (che come si è visto non è poco), ma di quello che fa (o non fa) il capitale.