Dopo gli operai siciliani della Fiat di Termini Imerese, i lavoratori dell’alluminio Alcoa di Portovesme in Sardegna, ora tocca ai 1.110 portuali di Gioia Tauro in Calabria. In otto si sono arrampicati a 50 metri di altezza su una delle 25 gigantesche gru piazzate sui 3 chilometri e mezzo di banchine. […]
Ce l’hanno soprattutto con il governo che ad agosto non ha trovato di meglio che aumentare le tasse di ancoraggio fino al 50 per cento proprio mentre i traffici marittimi crollavano in tutto il mondo travolgendo anche i moli calabresi, tirando così di fatto la volata ai porti stranieri concorrenti, da quelli del Nordafrica a quelli spagnoli e francesi del Mediterraneo. Quella decisione per Gioia Tauro è stata come una pugnalata alle spalle. Dopo aver combinato il disastro ora l’esecutivo tira dritto, invece di rimediare, come se le banchine calabresi si trovassero in un altro continente. E’ una scelta gravissima non solo per il futuro del porto, ma per tutta la Calabria, perché con 2.500 addetti tra diretti, indiretti e lavoratori dell’indotto, lo scalo di Gioia è l’unica grande fabbrica nel raggio di centinaia di chilometri e da solo rappresenta più di metà del Pil privato (prodotto lordo) dell’intera regione. […]
Non fare nulla per impedire il ridimensionamento del porto oppure rinviare in attesa che si scaldi il clima delle elezioni regionali, significa chiudere con cinismo gli occhi di fronte a una realtà economica e sociale dirompente, assediata dalla criminalità organizzata e colpita pure dalla crisi delle arance che ha fatto da innesco alla guerra tra bianchi e neri scoppiata nella vicinissima Rosarno.