11.8.10

Sorpresa III: ma se sei imprenditore, i parlamentari ricchi che fanno?

Ti tirano le pietre.

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Devo riprendere il Gutron. Io mi sono rotto le palle tutta una mattina per duemila euro e Consorte, o meglio il compagno di consorte, si è preso una consulenza da cinquanta milioni. E per non pagarci le tasse, ha fatto passare quei soldi come guadagni in Borsa, soggetti a un’imposta più bassa, del 12,5%. E bravo, io sulle buste paga ci pagavo quasi il doppio e lui se l’è cavata con molto meno. Ma che bella idea, ecco come si abbatte il costo del lavoro.

Luigi Furini, Volevo solo vendere la pizza, Garzanti, 2007, p. 183.

Così idealmente si conclude questa triade dello schiaffo pubblico alla patria gota; con la storia di questo giornalista di sinistra che vince gli atavici riflessi e sensi di colpa antipadronali per avviare un’innocente, regolare, benefica attività di spaccio di pizza. La storia vera, raccontata da lui. Che consiglio se del caso di leggere prima della prefazione di Travaglio che spoilera e dice come va a finire.

E che comunque è un bel saggio del genere picaresco postmoderno italiano, dove le marche da bollo la fanno da padrone, tra sportelli smerigliati e pavimenti in graniglia – in un sinistro mondo incantato al contrario, dove l’ovvio va dimostrato e se regali una pizza, son 516 euro. Di multa. E chi raggira e s’approfitta, poi ti fa causa; e per evitare processo, soldi, bolli, anni e bile, mi dai duemila euro e siamo a posto.

Che spesso bisogna accettare.



Sempre attuale.

Nel belpaese che ha tutti gli sfregi estetici e morali della modernità, ma è ancora nel tardo ottocento. E il governo del fare? E i ricchi parlamentari? Rinchiusi nei loro feudi, palazzi turriti e ville sontuose; ad amministrare chi un posto di lavoro, chi un appoggio dall’alto. A ricever questuanti e incontrare congiuranti, partner d’affari, prelati, banchieri e feudatari.