11.8.10

Canale Mussolini

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Comunque quella volta a un certo punto questi americani si misero a fare: “Tel prìvy, tel prìvy” e noi non capivamo. Rossoni allora – che come lei sa l’America era casa sua – disse: “El prìvy xè il cesso”, e anche noi da quel momento cominciammo a chimarlo “prìvy” e ancora ce lo chiamiamo anche adesso; anche se naturalmente non c’è più e abbiamo tutti il bagno in casa. Fu zia Bìssola la prima che – una volta che c’era un ospite, non so chi fosse, forse il medico o il prete – dovendo improvvisamente andarci  ma volendo motivare un po’ più signorilmente la sua assenza, desse: “A vago int’el prìvy”.
“Dove vai?” fecero tutti quanti.
“Int’el prìvy”.
“Dove?” rifecero ancora più forte gli altri.
“A cagaareee!” strillò allora lei spazientita.

Antonio Pennacchi, Canale Mussolini, Mondadori 2010, p. 218.

Non so bene se ci stava di più il premio Strega a Pennacchi quest’anno o a Giordano due anni fa; certo c’è una gran bella differenza. Anch’io, se dovevo scegliere, non lo so. Forse ci stava che l’han preso entrambi e basta. È tanto semplice.

Però forse questo Canale Mussolini, di più.

Insomma sto canale del titolo non è, come pensava crassamente questa redazione, un misterioso canale nel senso del paradigma jakobsoniano della comunicazione (messaggio, canale, destinatario, ecc.), oscuro addentellato con le torbide trame della propaganda fascista. È un corso d’acqua. Quello scavato per bonificare le benedette pianure pontine, che lo san tutti che il fascio se una cosa tutti la dicono che alla disperata si può sempre tirar fuori, a dire “però il fascio ha fatto anche delle cose buone”: è quella. Le famigerate paludi pontine. Lo san tutti.

E invece no.

Perché in questo libro Pennacchi come un salmone risale alle origini della famiglia di Accio Benassi il fasciocomunista, e tira su veramente un quadro epico, emozionante, poetico, divertente a tratti e tragico altrove; prende la Storia maiuscola delle battaglie e degli accidenti e ci infila una trama di eventi che è ancora più storica, umana, vissuta e raccontata a voce, in dialetto, dai protagonisti. E quella certo io non la sapevo.

E insomma, al di là del fatto che il romanzo prende perché prende, del fatto che è interessante per le storie e gli aneddoti, che riporta in vita un mondo contadino che sembrano i secoli, e invece erano i nostri nonni, a volte padri, a viverci, questo libro è come se volesse, creando un epos italico fascista romantico ma anche disincantato, mettere una pietra sul sangue dei vinti e dei vincitori, e sulle zuffe di oggi e di domani tra gli apologeti e i detrattori, come fosse l’ora di guardare al passato per imparare, più che per incarognirsi ancora.

Pare a me.