29.8.10

Omaggio a Sandro Talamazzini

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                                          Lo scienziato Alberto Mori – foto TFG.

Sandro Talamazzini nasce da qualche parte, in una piana alluvionale che poi sarebbe stata detta padano-veneta, verso la bassa, circa mille anni fa. Muove i primi passi nel settore cronache e annali, ma sono troppi per poterli qui ricordare i fondamentali contributi che seppe dare ad amanuensi e copisti, soprattutto con ardite innovazioni lessicali e fonologiche che, corrompendo dall’interno il latino, lo mandarono completamente in vacca per giungere al cremonese; né è possibile in questa sede evocare le straordinarie circostanze che portano il Talamazzini a fare l’incontro della sua anima gemella, e futuro partner di vita e lavoro: il fisico nucleare, entomologo, botanico, etnologo, anatomopatologo, micologo, anatomista e chirurgo Alberto Mori, sopra ritratto.

Insieme, i due intraprendono un esemplare percorso, che è assieme di conoscenza e divulgazione, di approfondimento e disvelamento di quasi tutti gli ambiti dello scibile umano all’affezionato pubblico della loro vera unica patria spirituale, Telecolor/Primarete, e che si sdipana, da che si abbia memoria, in una sterminata e variegata serie di trasmissioni, con vari titoli – tutte semplicemente dette “Il vecchio e il mostro” – improntate ad un’elevatissima concezione della missione educativa di qualsiasi cosa capiti per le mani ad un uomo dotto e profondo, anche fosse un’emittente locale cremonese, tutte girate nel castello-residenza del Mori.

Mirabile la puntata di ieri, in cui Mori raccoglie degnamente l’eredità del Talamazzini ormai scomparso, e carpita magistralmente l’attenzione dello spettatore delle 3 di notte, lo guida attraverso i misteri sia dal punto di vista tassonomico, che collezionistico ma anche economico delle conchiglie: capolavoro.


Sarà una cosa solo mia

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Anzi, sicuramente sarò l’unico, ma a me uno che fa la cacca in una tazza da tè gigante mi solleva delle perplessità pesanti, anche se è John Lennon. Soprattutto, se è John Lennon.



Comodo è comodo

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Da il Misfatto.



Dopo il terremoto

L’Aquila 2010, il miracolo italiano che tutto il mondo ci invidia, in cifre.

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Le carriole nate per trasportare le macerie ora sono piene di libri come segno di rinascita culturale. A L’Aquila non c’è più un luogo dove leggere, dove studiare. E le macerie ancora ammassate sono milioni di tonnellate. Solo diciottomila persone sono nelle nuove case, le chiamano così mentre duemila sono ancora negli alberghi e 30 mila si arrangiano come possono ospiti di amici e parenti.

Sandra Amurri, Fq, p. 2.

25.8.10

Clamoroso al Rimini

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Secondo il tastierista e ministro Maroni, è in atto una “operazione per fare fuori Berlusconi”. Vogliamo chiamarla democrazia parlamentare?

22.8.10

Economia, questo illustre sconosciuto

Se c’è una cosa che sicuramente supera le teologia in bizantinismo e gelosa custodia di segreti fatali, mi pare almeno a me, son le scienze economiche; novella alchimia per iniziati a un gergo settoriale arcano e inconsulto, c’ha questo come manto di inconoscibilità austera, di testardo ermetismo per il cittadino semicolto, che, atterrito e sgomento, finisce per non saper cosa credere.

Non solo l’economia, eh. Poi. Ma l’economia diciamo che ti tocca anche se non sei sfigato, ecco.

Un incentivo alla rottamazione altro non è che una maniera di pagare una parte della nuova macchina per mezzo di debito pubblico al fine di “stimolarne” la domanda: l’effetto si è visto. La domanda è aumentata sino a quando l’incentivo fiscale era disponibile ed è poi crollata drammaticamente; il famoso “moltiplicatore keynesiano” dicono sia stato intravisto da alcuni pellegrini in viaggio verso il santuario di padre Pio, sghignazzava. Il risultato medio è che non è cambiato nulla, ma è peggiorata la vita dei lavoratori del settore: prima gli straordinari, poi la cassa integrazione, infine le tasse per pagare gli incentivi. Se questa è la crescita economica che le politiche “keynesiane” producono: grazie, ma no, grazie.

Michele Boldrin, Quando la spesa pubblica fa soltanto danni, Fq, p. 5.


Venus Bilal

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Volevo assolutamente dargli il giusto peso; e non ce l’ho mica fatta, in due settimane. Comunque. Bilal, di Fabrizio Gatti, che è un signore e maestro di giornalismo e vita, come ce n’è pochi, è un grande reportage. Non ce l’ho neanche qui, che l’ho prestato ma forse è meglio così, tanto c’erano tante di quelle citazioni; sarebbe stato inutile. La storia di Bilal/Gatti, dal Niger alla Libia in camion nel deserto, con i disperati, dalla Puglia dei braccianti al Centro di permanenza temporanea di Lampedusa, è innanzitutto un atto di coraggio dello scrittore, e poi un’epopea moderna tragica, ma tragica, che dovrebbero leggerla alle scuole, non Manzoni. Se lo leggono. Dovrebbero saperlo a memoria i leghisti. I razzisti. I missini. I semplicisti. I democratici di sinistra. I cattocomunisti. Tutti. Io per cominciare do l’esempio. Non si può neanche dirlo, a parole, questo racconto, senza offendere le vite che ci son dentro, senza sputarci su – è meglio far silenzio.

Ma però, come per caso, questa è l’altra faccia della medaglia, di una medaglia appunto, che è l’argomento del documentario del Venus Project che ho visto oggi: il denaro è debito, il debito è denaro, la scarsità è profitto.

Speculare, yin e yang.

“La maggior parte della popolazione negli USA non ha idea del fatto che sta godendo dei benefici di un impero clandestino, e che oggi c’è ancora più schiavitù nel mondo che mai prima d’ora.”

Ecco Bilal è l’allucinato documento dell’esistenza e sull’esistenza di quegli schiavi – della vita di chi è come il ritratto di Dorian Gray del mondo nostro, privilegiato, che non son mica solo gli americani.

E allora, siccome ormai il tempo stringe, mi è capitato di guardare questo Zeitgeist Addendum, grazie alle segnalazioni sempre d’avanguardia di Gianni sul signoraggio, adesso che il giorno sta finendo, e mi pareva esserci questo intimo legame, mi sembrava il caso di postare prima che fosse troppo tardi. Poi c’è anche molto altro in Zeitgeist Addendum, c’è John Perkins il Sicario dell’economia che è interessante, i discorsi sulle energie rinnovabili, e anche una chiusa etico-panteistica un po’ così, però. Ecco.


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Anche l’economia, che sembra così matematica, spesso è soggettiva:

Costano tanto i manganelli mediatici dei berlusconiani. Il paradosso di Libero e de Il Giornale, i due giornali più liberisti e antistatalisti è che non potrebbero stare sul mercato. Senza i soldi regalati dagli azionisti dovrebbero dimagrire o chiudere i battenti. Nel caso di Libero c’è l’aggravante del contributo statale: 20 milioni di euro negli ultimi tre anni. Il consigliere Maurizio Belpietro dovrebbe licenziare tutti i giornalisti per fare tornare i conti in ordine e permettere così al direttore Maurizio Belpietro di scrivere con la coscienza pulita i suoi editoriali affilati contro gli aiuti ai terroni spreconi. […]
Solo con la forza politica dei padroni si può spiegare il paradosso dei ricavi pubblicitari che schizzano alle stelle solo per loro nel periodo più nero della storia. Merito della concessionaria di pubblicità Visibilia di Daniela Santanché, sottosegretario del Governo Berlusconi.

Marco Lillo, QUANTO COSTA L’ESERCITO DI CARTA DI B., Fq,


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da il Misfatto.


Minzolingua contro Superpapillo

O della distrazione di massa

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Giuro, l’ho visto anch’io.

 

SCOMPARE UNA RAGAZZINA, LA MADRE AL TG1: “PROCURA CHIUSA PER FERIE, NESSUNO INDAGA”.

MA NON È VERO

di Bruno Tinti

[…] IERI SERA, al TG1 delle 20,00, hanno raccontato di una tredicenne di Vigevano che era scomparsa da casa da quattro giorni. Hanno detto che i genitori l’avevano mandata a trascorrere le vacanze fuori città, per allontanarla da un fidanzato che non gli piaceva; sembra che fosse “inadatto”. Hanno intervistato la mamma, in lacrime. […] La signora ha detto che il fidanzato aveva sostenuto di non saper nulla di quello che era successo a sua figlia ma che certamente mentiva. E che non era stato fatto nulla per dimostrare che mentiva, in particolare non erano state disposte intercettazioni telefoniche e non erano stati richiesti i tabulati delle sue utenze e dei suoi amici. Tutto fermo, ha detto la signora, perché il pm di Vigevano è in ferie e nessuno si occupa di questa storia. […]

NATURALMENTE sono tutte bugie. Alla Procura di Vigevano è in servizio il Procuratore della Repubblica che si occupa attivamente dell’indagine. Gli ho parlato io, al telefono del suo ufficio; magari avrebbe potuto farlo il TG 1. […] Eh, in effetti non sarebbe male sentire cosa dicono questi ragazzi;[…]sarebbe proprio utile intercettare; ma non si può.

SICCHÉ la Procura di Vigevano e quella di Casale stanno facendo quello che possono, rispettando la legge, si capisce. Anche il TG 1 sta facendo quello che può: sputtanare i magistrati e dare una mano al padrone. Che tutto questo passi per menzogne e superficialità non è molto importante per questa gente: tanto, avranno pensato, alla palla della Procura chiusa per ferie ci credono tutti; e chi volete che sappia che c’è l’articolo 266 del codice di procedura?

Fq, p. 7.


Tu tu che sei diverso

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                                                                       Foto da il Fatto Quotidiano.

Con tutto il rispetto per il loro ruolo di capigruppo, penso che siano soltanto opinioni. Io giro per l’Italia e non mi sembra che il processo breve, così come è nella testa degli avvocati del premier, sia avvertito come necessità dagli italiani. E poi basta con questa cantilena dell’uso politico della giustizia. Noi rispettiamo le Procure, soprattutto quando portano avanti inchieste sulle contaminazioni tra criminalità organizzata, politica ed economia.

F. Granata sul Fq, p. 4.

21.8.10

Il padrone dell’Alcatraz, il ministro, e l’eversione

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Cosa c’entrano il proprietario del noto locale milanese “Alcatraz” dove c’han suonato anche gli Ain’t, ma io non c’ero andato – non so perché – con Ignazio La Russa e le trame nere dell’eversione?

“Enrico Rovelli, il ‘compagno anarchico’ che corse a portare la foto di Bertoli, quella inserita sul passaporto falso usato per l’espatrio, al commissario Luigi Calabresi (Rovelli fu anche informatore dell’ufficio Affari riservati, con il nome in codice ‘Anna Bolena’: in cambio dei suoi servizi avrebbe avuto un occhio di riguardo dalla questura per le licenze e per la sua carriera di manager musicale, gestore prima del Carta vetrata di Bollate, poi del Rolling Stone di Milano, infine impresario di pop star come Patty Pravo e Vasco Rossi e oggi proprietario dell’Alcatraz di Milano, oltre che grande amico di Ignazio La Russa”.

F. Barbacetto, Il Grande Vecchio, Bur, Milano 2009, p. 172.

Ecco.

Non credo serva aggiungere altro; questo libro, quattrocento pagine tutte così. Meglio. Gli ultimi quarant’anni (almeno) di storia d’Italia son così: trovi quello che fa l’informatore dei servizi segreti, poi terrorista, e poi imprenditore di successo oppure narcotrafficante; l’altro che fa finta d’esser terrorista anarchico e invece è fascista. Al soldo dei servizi di sicurezza. E di Gladio. E il Sid è pieno di piduisti; e Gelli nel ‘70 fa il golpe Borghese, che ha già occupato il Viminale ma arriva il contrordine, a lui, al principe Borghese, e ai mafiosi venuti per ammazzare il questore.

Si può raccontare una storia così? Mille nomi, mille loschi figuri, criminali, terroristi, mafiosi, politici e servizi, che trovano sempre il modo a distanza di chilometri e di decenni, di risaltar fuori, non si capisce perché, e a far cosa. Vogliam parlare delle BR, delle convergenze parallele? Non si può.

D’altronde, non riesco neanche a finirlo, prima di domani. E se non lo finisco domani, tanto vale parlarne prima di tornare ai caloriferi, che poi chissà quando mai c’arrivo.

Così.


Priorità

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Ma lo capisco. Tanto a curarsi mica va in Calabria, lui: negli States va. Le priorità son così a volte: soggettive.

20.8.10

Non mi son neanche accorto

Questo è il post 1006.



Fa quel che può, quel che non può non fa

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Ricorda Alberto Manzi che, quando fece l’insegnante per la prima volta, a ventidue anni, i suoi studentini era un po’ recalcitranti.
In un carcere minorile la cosa può anche assumere dei risvolti piuttosto assertivi; in pratica, ringraziatolo asciuttamente per il disturbo, la classe lo invitò a parcheggiarsi in un angolo e non rompere troppo la quiete. Per quanto protestasse che il suo ruolo e il suo lavoro, pagato, era di insegnargli. La situazione si scioglie solo quando il più grande, suo coetaneo, lo sfida a giocarselo il diritto, alla cattedra. Pensa Manzi a carte, non mi freghi – era stato all’istituto nautico, – solo che non si intendeva a carte, ma a cazzotti. Volente o nolente a quel punto; per fortuna aveva fatto l’istituto nautico. L’inizio di un’esperienza didattica particolare.

La sua partecipazione a Non è mai troppo tardi fu retribuita dalla Rai con una “indennità di polsino” perché usando un carboncino molto grasso si insozzava sempre la camicia; e non percepì altri compensi perché già pagato come maestro della Repubblica.

Nel 1981 viene sospeso da incarico e retribuzione perché si rifiuta di compilare delle schede di valutazione a suo dire inutili. L’anno dopo – dopo pressioni varie, per non scontentare nessuno – le compila e ci scrive, a tutti “fa quel che può, quel che non può non fa”.

È morto più di dieci anni fa, e io non sapevo neanche chi fosse fino a ieri sera; le ferie, far tardi alla tv – anche se ormai è tutto finito – serve.

18.8.10

Abbiam fatto trenta

Facciam anche due merende

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Ero lì che mi stropicciavo beato le barbe finte del Grande Vecchio di Barbacetto, e anche quelle vere, tra chiamate minatorie ai pm che indagavano su Piazza Fontana rintracciate come provenienti dal centralino della Camera, infiltrati dei servizi un po’ in ogni dove, coincidenze sospette, P2, BR, che m’è venuta un po’ di fame. E niente, mentre mangiavo cracker integrali con un etto di tonnata e mezzo chilo di grana (geniale il salutismo), facevo zapping in tv – e cosa mi trovo su RaiNews? La storia sensazionale e a me del tutto ignota del reportage di Ennio Remondino trasmesso durante i mondiali del 1990 dal TG1. Una storia assurda, che praticamente partendo per spiegare l’omicidio nel 1986 del premier svedese Olof Palme, portava alla CIA, alla loggia massonica P2, e alla mafia…

Svezia, Virginia, Arezzo, Sicilia.

Tutto un giro che non si capisce niente, ma comunque dove si arriva a spanne a ricondurre l’assassinio eccellente nella strategia politica americana volta a sobillare e alimentare il conflitto tra Iran e Iraq per tener basso il prezzo del petrolio, ambito nel quale il premier svedese sarebbe rientrato nelle scomode vesti di ostacolo, stante la sua volontà di sospendere le forniture di armi non mi ricordo più se all’Iran, o all’Iraq.

La P2, la mafia, non ho capito cosa c’entrassero, comunque si parlava di un telegramma partito dal Brasile, da Gelli (o forse Ortolani), verso non so dove, comunque che si parlava dell’omicidio o prima che venisse commesso.

Svezia, Virginia, Iran-Iraq, Arezzo, Brasile, Sicilia. E il tg1 trasmette. Che tempi.



Ferie per ferie

Facciamole fino in fondo

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Adesso non so se, bevuto il caffè, andare a fare un giro in vespa intanto che c’è ancora il sole, o buttarmi nel letto con un libro; dilemma.


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Sul punto la dichiarazione più incisiva è dell’algido Enrico Letta. “A Milano”, ha detto, “possiamo battere la Moratti. Per il 2011 dobbiamo trovare un candidato civico, un Guazzaloca di centrosinistra. Ma il nostro Guazzaloca non va sottoposto alle primarie, soffocherebbe le sue possibilità di successo”. Un mirabile esempio di ferrea logica cartesiana dal quale potrebbero discendere anche altri ragionamenti. Roba del tipo: questo Pd, per vincere, deve eliminare gli elettori. O, meglio ancora, trasferirsi in toto all’estero dove forse qualcuno è ancora disposto a credergli e a votarlo.

Peter Gomez, Fq, p. 1.


Le esternazioni di Cossiga

da l’Espresso.

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"Se Berlusconi è il nuovo De Gasperi, io sono il nuovo Carlo Magno". 18 aprile 1998.



Spiegherebbe molte cose…

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Tra cui quelle dette sotto.



Tutti al mare

Con leggerezza Mauro Masi, chiuso per ferie come la Rai, s’è dimenticato di firmare le matricole di Annozero (chiamato in codice ‘spazio Santoro’) e Vieni via con me di Fabio Fazio e Roberto Saviano, […] ovvero un numero e un paio di fogli protocollati, […] un nullaosta per avviare le trasmissioni, riconoscere la struttura, affidare i soldi necessari e ingaggiare ospiti e giornalisti.

Senza la firma di Masi c’è un vuoto burocratico. Vieni via con me e spazio Santoro esistono nei progetti eppure in pratica sono fermi: “Significa che l’azienda prevede due programmi, ma con masochismo blocca il lavoro per realizzare tre ore di buona televisione a settimana. Il timbro di Masi permette di spedire telecamere, definire interventi e gare d’appalto, ospiti e scenografia. Così autori e strutture non possono muovere né un euro né un dito”.

Carlo Tecce sul Fq.

Che a me, nella mia non dico beata ingenuità, ma in quel posto di adolescenza emotiva che mi è rimasto in fondo a un cuore indurito e rotto a ogni bassezza, dove ancora albergano sentimenti puri e miti, mi si come sommuove qualcosa, di tenero, di buono, a pensare al direttore generale di un’azienda pubblica, dell’azienda pubblica che ha insegnato agli italiani a parlare l’italiano, per la precisione, al direttore generale ex parà e baffuto di questa veneranda istituzione, che ostacola in ogni modo e sabota lo svolgimento delle trasmissioni più importanti dal punto di vista qualitativo ma soprattutto economico per l’azienda stessa, pubblica, che lo paga con soldi pubblici – ecco questo pensiero di uno pagato dai cittadini che asseconda in maniera padronal-feudale, non l’interesse della gloriosa impresa e della collettività che lo pagano, ma i disegni di bottega (nonché le mire anticoncorrenziali) di un signore facoltoso, principale competitor della società pubblica, che peraltro ha evaso e probabilmente sottrae sempre ingenti somme all’Erario, ecco questo pensiero ancora non so come dire; mi smuove quell’angolino di cuoricino dove allignano e albergano i moti d’animo più nobili e irenici. Mi fa venire voglia di incontrarlo quell’uomo lì, e chiusolo in una gogna in viale Mazzini, prelevare liquami di fogna e piscio di mulo da amalgamare in un composto spesso e cremoso, da cospargere sul viso altero e baffuto da ex-parà ogni 15-20 minuti, mentre i passanti lo oltraggiano e lo dileggiano, i vecchi lo sputano, e dopo averlo così ringraziato a nome della collettività per diciamo una settimana, vederlo in un tribunale a rendere conto delle sue condotte, e poi fargli vedere cosa vuol dire il posto che ha occupato, strapagato, facile, dorato, mettendolo senza un soldo a accattonare un posto da magazziniere all’ortofrutta, a 20 centesimi a cassetta, o a trovarsi un altro lavoro, se è bravo, ma non tra i suoi amici ed ex padroni, come gli altri, senza favori, per i meriti.

Posso dire d’aver ancora quest’animo buono.


È anche vero

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Ma è giusto anche dire ben meglio di quanto potrei fare io, il contrario:

Sicché, ora che esce di scena, possiamo riflettere sul senso della presenza ora sotto traccia, ora in primo piano, di Cossiga, traghettatore della Prima Repubblica verso la sedicente Seconda, come uno dei grandi responsabili della delegittimazione del Parlamento, uno dei più tenaci guastatori delle istituzioni, di cui ha favorito il discredito, preparando il terreno ai devastatori che giunsero doppiato il capo degli anni ’90. Attraversando molte delle vicende più inquietanti dell’Italia repubblicana, Francesco Cossiga ci appare oggi quasi un nome simbolo di quell’elemento che la teoria politica ha considerato l’opposto della democrazia: il potere invisibile. E con la sua scomparsa – vecchio ormai fuori gioco – rimane un cumulo di non acclarato, davanti al quale mentre tanti continueranno a ripetere le giaculatorie su Cossiga “ragazzaccio” della politica nazionale, noi ci interrogheremo su chi sia stato davvero questo deuteragonista, tanto informato, quanto misterioso, della storia italiana.

Fu Cossiga che spalancò la strada ai devastatori, Angelo d’Orsi, Fq, p. 22.


È andato

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Metter in riga due parole su Cossiga, probabilmente richiede un tatto sovraumano; per non cadere in sfondoni epocali. Ma in fondo chissene, no? Potremo ben dire minchiate, mica è la Treccani.

E allora lo dico: mi stava simpatico. Cioè a volte gelava il sangue, come con la famosa intervista de Il Giorno:

Gli universitari, invece? «Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città».
Dopo di che? «Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri».
Nel senso che...
«Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano».
Anche i docenti? «Soprattutto i docenti».

Ecco.

E non credo che parlasse di ipotesi teoriche di scuola, quanto di una prassi piuttosto ben verificata sul campo…

Però non so, un laureato in giurisprudenza a 19 anni, ha messo le mani ovunque, anche se quasi mai in modo istituzionalmente accettabile, che ha conosciuto le peggiori nefandezze della storia d’Italia, e molte le ha decise e avallate in prima persona. Credo vada ricordato obiettivamente, nel bene e nel male come una personalità singolare; e allora mi associo al tono vagamente celebrativo del paginone di Telese sul Fatto.

Esibiva con orgoglio un libro di Paolo Giovanni II con una dedica affettuosa, ma aggiungeva: “Io non mi sarei mai genuflesso davanti al Papa, come Rutelli. Un leader politico non si inginocchia di fronte alla Chiesa. Ho un concetto laico dello Stato”. […]

Forse però la chiave di una intera biografia era un’altra. Cossiga era, prima di tutto, un enfant prodige: “Sono stato il più giovane presidente della Repubblica. E devo tutto a una caduta di bicicletta da bambino: persi due mesi di scuola e mi dovetti ritirare per recuperare, studiando ho saltato le classi arrivando alla laurea a 19 anni e mezzo”. […]

A suo parere “Piazza Fontana era opera dei fascisti”, “la strage di Bologna dei palestinesi”, e “Il missile di Ustica dei francesi, che volevano uccidere Gheddafi”. Erano le verità negate che nessun altro avrebbe potuto dire. Diceva di non avere più segreti, né scheletri negli armadi, ma conoscendolo c’è da giurare che abbia predisposto manoscritti postumi e rivelazioni. […]

16.8.10

“Opposizione”

O le briciole della telecrazia

Una certa edizione del Tg1 delle 20. Preparo la scaletta a uso interno a metà pomeriggio. Mi chiama alle 17.30 un leader della sinistra, che non nomino perché ora conta poco: "Come mai la mia dichiarazione non appare nel Tg di stasera"? Alla Rai succede. Gente che riferisce ai partiti. Si arriva alle proteste anticipate a Tg ancora non trasmesso. Io rispondo: "Faccio finta di non aver mai ricevuto questa telefonata".

Dall’intervista a Clemente J. Mimun sul Corriere.


Una giornata diversa

Ecco un modo diciamo che non so quanti c’han pensato di passare il Ferragosto; pulir giù in cantina. La Kardcaverna. Dalle due alle otto, con lavacro e sciacquamento di tutte le superfici possibili e immaginabili.

Non ha prezzo.

15.8.10

Paolo Guzzanti dixit

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Esisteva l’antiberlusconismo militante. Adesso è nato un fondamentalismo islamico berlusconiano, fanatico ed integralista. Stracquadanio ne è il prototipo perfetto, persino affascinante, nel suo genere, perché come tutti gli integralisti dice sempre il vero. [...]

È un kamikaze del berlusconismo. È una cintura imbottita a spasso per il parlamento.

[…] Vede, il fascismo aveva almeno delle idee: una architettura, una mistica. Questi integralisti berlusconiani sono dei poveracci con le pezze al culo. Zero idee, zero passioni, stanno al fascismo come Bracardi al mussolinismo. Macchiette.

Da Il Fatto Quotidiano del 14 agosto 2010.


Dopo la finanza creativa

Il costituzionalismo della domenica

(tra l’altro di Ferragosto)

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Come direbbe il tg1: Ed è bufera politica.

Il ministro della Giustizia Angelino Alfano definisce una "bussola molto chiara" l'articolo 1 della Costituzione che sancisce che "la sovranità appartiene al popolo”.
Il Giornale.it

Qualsiasi ipotesi secondo cui chi ha vinto le elezione fa l'opposizione e chi le ha perse fa il governo viola l'articolo uno della Costituzione, ovvero che la sovranità appartiene al popolo
Il Corriere della Sera.it

Angelino Angelino, perché sei tu Angelino, ma veramente; per fare il ministero, tutto in una settimana hai dovuto fare. Dalla licenza media alla magistrale. Come si fa a leggerli fino in fondo i libri, è impossibile.

Però, anche le prime due righe, saltando la prima, almeno arrivare in fondo. Al punto fermo. Della Costituzione. Per un ministro. Capito io l’articolo 1, “la sovranità appartiene al popolo” ma il comma due poi però va avanti: “che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

E c’è il 92, cacchio, giù giù, nelle insondate profondità della Carta, anche proprio materialmente, bisogna girare un po’ di pagine, e trovi:

Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio dei Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri.

Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i Ministri.

Poi va bene, tutto.


Meglio tardi; ma forse neanche

Sì, purtroppo è così, accetto la critica. La destra ha sottovalutato il conflitto d'interessi. Le dirò di più, penso che sia arrivato il momento di rivedere la legge Gasparri. Nel momento in cui si permette al proprietario di televisioni di possedere – tramite suoi stretti familiari o collaboratori – anche testate giornalistiche, c'è qualcosa che non va.

Carmelo Briguglio.


La semplicità

Sms di Aldo Busi a Dagospia: “Davvero la Tulliani stava con [Gaucci] per interesse? Noi eravamo convinti che fosse perché era alto, bello e con gli occhi azzurri”.

dal mirabile saggio di Luca Telese sulla svolta del giornalismo “mettinculista”.



RMS Tirrenia

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Il problema sta proprio qui. La certezza degli aiuti da Roma ha consentito a Tirrenia di vivere a lungo sopra i propri mezzi e ai suoi manager di avventurarsi a cuor leggero in investimenti al limite del surreale. Il costo del personale della società (malgrado un taglio del 67% agli organici tra il 1989 e il 2008) "è superiore del 24,6% a quello dei concorrenti privati". […]

Il patrimonio societario della Tirrenia, tra l'altro, è zavorrato dalla pesantissima eredità dei folli investimenti degli anni '90. Oltre 300 milioni di euro buttati al vento per sei navi varate in pompa magna tra il giubilo di amministratori e autorità ma rimaste poi quasi sempre alla fonda in banchina. I velocissimi Guizzo e Scatto (70 km/h di spunto massimo grazie alla turbine monstre derivate dallo storico Nastro Azzurro) sono stati ritirati perché una volta in acqua non erano in grado di navigare appena il mare iniziava a incresparsi. Gli ambiziosi Scorpio, Capricorn, Aries e Taurus - capaci di muoversi in ogni condizione atmosferica - hanno alzato bandiera bianca perché consumavano 290 kg di gasolio al minuto contro i 41 dei traghetti tradizionali. Cifre che li hanno condannati a una pensione anticipata in porto dove (a spese del contribuente) un equipaggio dedicato avvia i motori una volta al mese giusto per fargli sgranchire bielle e pistoni, in vista di un prossimo disarmo, inutile dirlo, sempre a carico degli italiani. […]

Cosa succederà ora a questa flotta ormai fantasma gravata pure a fine 2008 da 920 milioni di debiti di cui 311 a breve termine con le banche? Il percorso, purtroppo per le tasche dei cittadini, appare chiaro: il commissario straordinario cercherà di massimizzare le entrate, forse varando lo spezzatino del gruppo. Gli armatori privati si scanneranno per i pochi pezzi pregiati (ci sono un po' di navi e alcune rotte più che appetibili) cercando di evitare di doversi accollare la Siremar. Qualcuno magari - attirato dagli ultimi sostanziosi aiuti garantiti da Roma (72 milioni l'anno per Tirrenia per otto anni, 55 per 12 anni per la figlioccia siciliana) - si avventurerà pure su aree meno redditizie, ristrutturando l'attività e limando gli eccessi del trentennio di Pecorini. I soldi incassati serviranno per rimborsare un po' dei debiti. Al resto, come per Alitalia, ci penseremo noi.

Super-stipendi e sprechi Tirrenia, naufragio annunciato - Repubblica.it.

14.8.10

Time

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Ronaldo Luís Nazário de Lima, Ronaldo, o il Fenomeno, per questo blog è più di un idolo, ma più anche di un dio. Ancora adesso c’ho le foto e i poster in giro.

Che non lo so cosa vuol dire; cioè. Non so perché. E non credo che valga spender parole. Uno che corre dietro al pallone.

Però la purezza atletica, la perfezione tecnica; in qualche modo confinano col trascendente. Non so. Ancora adesso vedere quei gol col Barcellona, i numeri sul lungolinea con l’Inter, e quelle finte sul portiere in coppa, con la maglia a rigoni da galeotto; ma ancora oggi, se vedo la scena che poi dopo due finte si rompe il tendine rotuleo, la seconda volta, vista in diretta al tempo, non ci riesco a guardarla, è come se mi facessero del male personalmente.

L’anno prossimo pare che si ritira. Il giocatore più forte della storia. Il Fenomeno.

E noi siam qua.



Cagass adoss a Montecarlo

O il fascio innamorato
(
O anche “persino Gaucci ha tradito la Tulliani”)

L'era mai success,
ho nanca truàa on cess,
me sunt cagàa adoss a Montecarlo...
Merda a non finir,
spussa da impazzir,
se vultaven tucc a Montecarlo...
Gh'era el vent all'incuntrari,
gh'era nanca un urinari...
Merda in di mudand,
merda in mess ai gamb:
ho impienìi de merda Montecarlo...
Sur la Promenade,
a gh'er di gran cagade,
scarligaven tucc a Montecarlo...
Pure in riva al màar,
l'era un patinoire,
patinoire de merd, naturalmont, a Montecarlo...
Oh mon dieu, che tanf si sente,
ma se l'è el rigiur de la mer, la dìis la gente...
Merda in di calzett,
merda in del culett,
era pien de merda Montecarlo...

Nanni Svampa.

Grazie a Cruciani e Telese per la Zanzara, a Gianni per la segnalazione, ma soprattutto all’anonimo ascoltatore che ha passato questo capolavoro a La Zanzara. Già che ci siamo linkiamo anche il programma in cui un sempre lucido Sgarbi sottolinea come e qualmente “È un problema di freccia alata” e “Un politico innamorato è un politico fottuto”, ovvero la sopravvalutazione di Fini e la sottovalutazione di Tulliani.

Cioè il presidente è un “ragazzo ingenuo” che ha ceduto a una ragazza che a sua volta aveva legittime ambizioni, e infatti “ha risolto il problema della freccia alata”; il resto: la madre, il fratello, sono ulteriori elementi di un quadro […] di una ragazza più bella che intelligente, in senso tecnico ha la legittima ambizione, come avevano la Troise, la Evelina Manna, di fare un po’ di carriera […] se la carriera, invece di farla, trovi uno che ti sposa, hai fatto carriera”.


La “third lady”?

L’ho letto adesso sul Fq; no ma dico.

A costo di apparire in tutta la ferina ignoranza e truce burinaggine, a me, la “third lady” non l’ho mai sentito, e mi fa anche abbastanza cagare.

Velina a Lillo e Massari del Fatto Quotidiano: nun lo dite chiu.

(che mi esercito anche con la mia futura nuova realtà dialettale di approdo, quando si sarà compiuta la mia ritrasformazione in italiano meridionale, ma ne parliamo un’altra volta)


Infatti

Se Bocchino, Granata, Briguglio ricordano come B. comprò (si fa per dire) la villa di Arcore, Craxi, la Guardia di Finanza, Mills, la sentenza Mondadori, quel che dicono finisce nei pastoni politici dei tg e nemmeno Minzolingua può farci nulla, visto che nei tg l’informazione politica è appaltata ai politici. Immaginiamo quanti milioni di italiani saprebbero chi è B. e com’è diventato B. se i vari D’Alema, Veltroni, Fassino, Rutelli, Marini, Fioroni, Bersani, Letta-Letta junior, Bertinotti e simili avessero usato gli spazi autogestiti in tv per raccontare le gesta del Caimano, anziché emettere mortiferi blabla sulle Grandi Riforme Condivise e altre menate.

Travaglio, Fq.

Giustamente colta la debolezza del mio entusiasmo per l'affiorare anche di striscio alla superficie del dibattito pubblico, alla coscienza della "pubblica opinione", delle storie torbide del Berlustano; resterà sempre una goccia nel mare, finché uno solo controlla televisione, radio, editoria, assicurazioni, palinsesti, calcio, cliniche, università e ricerca, cuore, vita, salute, mente morte e miracoli di tutti gli italiani, da prima che nascano a dopo morti; è per quello che non può perdere le elezioni; è per quello che non morirà mai.



No, però

Sul palinsesto. È onesto dire che fanno anche Full Monty

A Sud


Epico il tg1 anche nell'edizione notturna. A illuminare la notte vuota e tetra di teofog, un memorabile servizio sulle vacanze degli italiani, che ricorda la Pravda di Ivan di ferro Serov. Grazie Minzo.

13.8.10

Bei ricordi di Salisburgo

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La macchina che premia chi ricicla In Europa va a ruba, noi non sappiamo cos’è

di Monica Raucci

L’idea è semplice semplice: se ricicli ricevi un premio. Basta inserire i contenitori in una macchinetta, e quella emette buoni: sconti per la mensa dei bambini, ricariche telefoniche, caffè, benzina. È la raccolta differenziata efficace, veloce e soprattutto conveniente per tutti. Non risolve completamente il problema, ma è già molto. Mentre queste macchinette spopolano in tutta Europa, il nostro Paese non sa che farsene. Eppure costano poco, le più piccole settemila euro. Ma i soldi per la raccolta differenziata, quella che non funziona, finiscono altrove. Miliardi di euro in fumo.

Fq.

Ecché, chi non si ricorda a Salisburgo quando siamo andati a trovare la Piertaura in Erasmus; con tutte le bosse che c’abbiamo cacciato al supermercato, potevamo comprarcelo.

E già che ci sono colgo anche l’occasione per infilare un’osservazione che se no poi lo so che mi scappa; anche se non c’entra molto. Per la verità niente. Lasciam stare.


Il giorno prima della rivoluzione

di Furio Colombo

Forse non lo sapevate. Ma “esiste in Italia una Costituzione materiale che affida agli elettori la scelta di quale presidente e quale coalizione debba governare. E il ritorno al voto nel caso in cui quella maggioranza venga meno”. Lo dice il ministro degli Esteri italiano (La Repubblica, 12 agosto).

Naturalmente non è vero. In una sola risposta sbagliata Frattini cita la costituzione berlusconiana, che non è in vigore, e abolisce il capo dello Stato che ha come prerogativa esclusiva di decidere se tornare o non tornare al voto. Per fortuna la Costituzione italiana e il capo dello Stato ci sono ancora. Direte che non è il caso di dare troppo peso a un ministro degli Esteri che non sa niente di aspetti piuttosto importanti della politica estera italiana, perché viene lasciato a casa quando il suo capo si incontra, per cose serie e a porte chiuse, con Gheddafi e con Putin. […]

Frattini ha poco peso ma non è futile. Lo hanno mandato a dire che il progetto di distruggere la Repubblica Italiana nata dalla resistenza, a cominciare dalla sua Costituzione, procede e accelera. Il lavoro sporco lo lasciano fare a Cicchitto: «L'Italia andrebbe incontro a una fortissima destabilizzazione» dice il capo claque di Berlusconi alla Camera (La Stampa, 12 agosto). Lo stesso giornale riporta l'ammonimento del capo: «Ove dovesse mancare l'unità (leggi: obbedienza, Ndr) si dovrà arrivare a scelte dolorose e definitive». Chiarisce la deputata pluripartito Santanché «Fini si dimetta prima che imbarazzanti verità lo costringano». Del resto il ruvido statista Bossi aveva già offerto la sua interpretazione della nuova Costituzione materiale quanto alla presidenza della Camera: «Ce lo abbiamo messo lì noi, lo possiamo togliere» (Il Corriere della Sera, 11 agosto). Direte: ma una simile dichiarazione di guerra alle istituzioni porterà conseguenze gravi. Non è possibile che solo i finiani parlino della casa di Arcore, sottratta alla famiglia Casati e venduta per due lire (mediatore: Cesare Previti) a Silvio Berlusconi, che vi ha convissuto con un certo Mangano, in seguito proclamato eroe della Repubblica. È vero, non è possibile. Infatti il Pd insiste: il governo venga a riferire in Parlamento. Non ottengono neppure una risposta.


Il volare di stracci si fa vorticoso e stamattina, visione d’idillio. Sul retrivo e clericale Giornale di Brescia, solo quotidiano letto a casa, in prima pagina campeggia qualcosa che credevo dovesse star confinato nelle pagine interne dell’Odore dei Soldi, dove lo lessi anni fa posando la prima pietra dell’avversione a Berlusconi che avrei nutrito e alimentato amorevolmente fin’ora; in altre parole, si inizia a parlare dell’origine degli sfarzi e dei fasti dell’Uomo della provvidenza. La casa di Arcore.

E da qui, se tutto fosse normale e il dibattito pubblico e giornalistico fosse anche solo semilibero come ovunque, la slavina prenderebbe velocità, e sarebbe quasi fatta. Anche alle elezioni.

Stando invece noi come stiamo a libera intrapresa editorial-giornalistica, non lo so come va a finire; certo l’estate con il PdL mattatoio comunale è un presagio di sfasci a venire. Peccato che non c’è più la maggioranza e non c’è nemmeno l’opposizione.

Sembra che si dovrà tornare a vedere governicchi che nascono e muoiono come mosche; il che per le residue speranze di veder scomparire i carrozzoni pubblici, le marche da bollo, le sanguisughe della sanità privata, banche vampire, speculatori vari e assortiti, evasori e maneggioni sarà un brutto colpo. Anche se è dura pensare peggio di adesso.


Già la pioggia è con noi

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                   Davide FRISONI: espressioni di nonluoghi

Già la pioggia è con noi,
scuote l'aria silenziosa.
Le rondini sfiorano le acque spente
presso i laghetti lombardi,
volano come gabbiani sui piccoli pesci;
il fieno odora oltre i recinti degli orti.


Ancora un anno è bruciato,
senza un lamento, senza un grido
levato a vincere d'improvviso un giorno.

S. Quasimodo.

12.8.10

Apologia dell’antimodernità

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C’è di bello che anche nelle peggiori condizioni di arretratezza delle più bieche e reazionarie dittature totalitarie del millennio (e quindi è lecito presumere anche dei millenni a venire, figlioli e nipotini non nati miei), c’è un punto – teorico e astratto, ma che si può talvolta trasferire nella sfera del fattuale – in cui la truce fetecchiosità del regime, per involontaria alchimia tra le forze del maligno e l’inettitudine dei suoi loschi fautori, scagnozzi e tirapiedi, si trascolora in miracolose epifanie salvifiche; ad esempio oggi, che – dopo aver trasmesso l’intera cinematografia di serie B, C, D e Promozione degli anni sessanta, settanta, ottanta e primi novanta, su Rete4 fan Fuga per la vittoria.


Priorità

O la faccia come il

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Ieri il Corriere dedicava le pagine 1, 8, 9, 10, 11 a Fini & cognato, confinando a pagina 25 una notizietta da niente: un appunto di Vito Ciancimino, consegnato ai pm dalla vedova, su finanziamenti di Berlusconi a Provenzano (titolo: “Mafia, Ciancimino jr tira in ballo il premier”, così è impossibile capire che si tratta di un documento, non di parole al vento).

Travaglio, FQ.


11.8.10

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Certo che queste rivelazioni di Ciancimino faranno storia.

Se solo si sapesse di più. Almeno, anche per capire chi gliel’avrà mandato a Ciancimino il bossolo con le minacce a suo figlio di cinque anni l’altro giorno. Chissà chi c’è sotto le devastanti rivelazioni del figlio dell’ex assessore ai lavori pubblici mafioso di Palermo; io non me lo so immaginare. Tutte queste trame occulte, i 61 seggi su 61, i mezzi silenzi di Graviano, chissà dove portano.

Eh ma salterà fuori qualcosa un giorno.

Forse.


The final showdown

Già le destre han stretto le destre, già le sacre parole son porte, o compagni sul letto di morte, o fratelli sul libero suol.
Dove ti giri ti giri, sembra un regolamento di conti per bande; di bello quest’estate c’ha quello, anche sapendo che tanto poi si ritorna tutti d’amore e d’accordo.
Resta che per il momento con questa fiera pugna si stan facendo più compagi sul letto di morte che fratelli sul libero suol.

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Proprio lui, parla, il sindaco, […] che per non fare la figura del fascio allo Strega ha ostentatamente votato Silvia Avallone e non Antonio Pennacchi

Pietrangelo Buttafuoco su Libero.


Caccia al finiano

Briguglio: “Noi spiati da pezzi deviati dei servizi” Dossier contro i parlamentari non graditi

“Sì, ha capito bene. È stata presentata una denuncia al Copasir per pedinamenti, da parte dei servizi segreti deviati, nei confronti di parlamentari non graditi. Un segnale in perfetta continuità con l’attività di dossieraggio giornalistico contro il presidente Fini”. Carmelo Briguglio, non è solo un deputato finiano. Quando racconta queste cose, lo fa da membro del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, il Copasir.

Paola Zanca, FQ, p. 3.


Canale Mussolini

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Comunque quella volta a un certo punto questi americani si misero a fare: “Tel prìvy, tel prìvy” e noi non capivamo. Rossoni allora – che come lei sa l’America era casa sua – disse: “El prìvy xè il cesso”, e anche noi da quel momento cominciammo a chimarlo “prìvy” e ancora ce lo chiamiamo anche adesso; anche se naturalmente non c’è più e abbiamo tutti il bagno in casa. Fu zia Bìssola la prima che – una volta che c’era un ospite, non so chi fosse, forse il medico o il prete – dovendo improvvisamente andarci  ma volendo motivare un po’ più signorilmente la sua assenza, desse: “A vago int’el prìvy”.
“Dove vai?” fecero tutti quanti.
“Int’el prìvy”.
“Dove?” rifecero ancora più forte gli altri.
“A cagaareee!” strillò allora lei spazientita.

Antonio Pennacchi, Canale Mussolini, Mondadori 2010, p. 218.

Non so bene se ci stava di più il premio Strega a Pennacchi quest’anno o a Giordano due anni fa; certo c’è una gran bella differenza. Anch’io, se dovevo scegliere, non lo so. Forse ci stava che l’han preso entrambi e basta. È tanto semplice.

Però forse questo Canale Mussolini, di più.

Insomma sto canale del titolo non è, come pensava crassamente questa redazione, un misterioso canale nel senso del paradigma jakobsoniano della comunicazione (messaggio, canale, destinatario, ecc.), oscuro addentellato con le torbide trame della propaganda fascista. È un corso d’acqua. Quello scavato per bonificare le benedette pianure pontine, che lo san tutti che il fascio se una cosa tutti la dicono che alla disperata si può sempre tirar fuori, a dire “però il fascio ha fatto anche delle cose buone”: è quella. Le famigerate paludi pontine. Lo san tutti.

E invece no.

Perché in questo libro Pennacchi come un salmone risale alle origini della famiglia di Accio Benassi il fasciocomunista, e tira su veramente un quadro epico, emozionante, poetico, divertente a tratti e tragico altrove; prende la Storia maiuscola delle battaglie e degli accidenti e ci infila una trama di eventi che è ancora più storica, umana, vissuta e raccontata a voce, in dialetto, dai protagonisti. E quella certo io non la sapevo.

E insomma, al di là del fatto che il romanzo prende perché prende, del fatto che è interessante per le storie e gli aneddoti, che riporta in vita un mondo contadino che sembrano i secoli, e invece erano i nostri nonni, a volte padri, a viverci, questo libro è come se volesse, creando un epos italico fascista romantico ma anche disincantato, mettere una pietra sul sangue dei vinti e dei vincitori, e sulle zuffe di oggi e di domani tra gli apologeti e i detrattori, come fosse l’ora di guardare al passato per imparare, più che per incarognirsi ancora.

Pare a me.


Sorpresa III: ma se sei imprenditore, i parlamentari ricchi che fanno?

Ti tirano le pietre.

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Devo riprendere il Gutron. Io mi sono rotto le palle tutta una mattina per duemila euro e Consorte, o meglio il compagno di consorte, si è preso una consulenza da cinquanta milioni. E per non pagarci le tasse, ha fatto passare quei soldi come guadagni in Borsa, soggetti a un’imposta più bassa, del 12,5%. E bravo, io sulle buste paga ci pagavo quasi il doppio e lui se l’è cavata con molto meno. Ma che bella idea, ecco come si abbatte il costo del lavoro.

Luigi Furini, Volevo solo vendere la pizza, Garzanti, 2007, p. 183.

Così idealmente si conclude questa triade dello schiaffo pubblico alla patria gota; con la storia di questo giornalista di sinistra che vince gli atavici riflessi e sensi di colpa antipadronali per avviare un’innocente, regolare, benefica attività di spaccio di pizza. La storia vera, raccontata da lui. Che consiglio se del caso di leggere prima della prefazione di Travaglio che spoilera e dice come va a finire.

E che comunque è un bel saggio del genere picaresco postmoderno italiano, dove le marche da bollo la fanno da padrone, tra sportelli smerigliati e pavimenti in graniglia – in un sinistro mondo incantato al contrario, dove l’ovvio va dimostrato e se regali una pizza, son 516 euro. Di multa. E chi raggira e s’approfitta, poi ti fa causa; e per evitare processo, soldi, bolli, anni e bile, mi dai duemila euro e siamo a posto.

Che spesso bisogna accettare.



Sempre attuale.

Nel belpaese che ha tutti gli sfregi estetici e morali della modernità, ma è ancora nel tardo ottocento. E il governo del fare? E i ricchi parlamentari? Rinchiusi nei loro feudi, palazzi turriti e ville sontuose; ad amministrare chi un posto di lavoro, chi un appoggio dall’alto. A ricever questuanti e incontrare congiuranti, partner d’affari, prelati, banchieri e feudatari.

Sorpresa II: governo del fare, parlamentari ricchi e governance della povertà

Ciò è connesso, evidentemente, a un deficit di governance del fenomeno, e soprattutto a una scarsamente efficace destinazione delle risorse a favore di politiche di contrasto esplicitamente mirate alla riduzione della povertà e dell’esclusione. A una spesa sociale complessiva sostanzialmente in linea con quella degli altri partner europei come percentuale del PIL (il 25,5%, contro una media del 25,9% per l’UE 15 e di 25,4 per l’UE 27), focalizzata soprattutto sulla spesa Pensionistica (2467 Euro pro capite contro una media EU15 di 2284) e su quella per la Salute (2130 Euro contro 2817), l’Italia fa seguire, infatti, un investimento sulle specifiche voci relative alle politiche ad hoc di contrasto della povertà e dell’esclusione sociale nettamente insufficienti. Essa investe circa 11 Euro per abitante in “Social protection benefits” contro i 503 dell’Olanda, i 323 della Norvegia, i 273 della Danimarca, i 118 della Francia, i 91 della Grecia. Solo poco di più dei 10 di Romania e Bulgaria, dei 7 della Lettonia e dei 6 dell’Estonia. Nel sostegno alle Famiglie e ai figli la quota italiana è meno di un sesto di quella di Paesi come Norvegia e Danimarca (261 Euro pro capite contro i 1517 della prima e i 1358 della seconda); all’incirca un terzo rispetto a Paesi come Germania (754 euro) e Francia (648), e quasi la metà rispetto alla media dell’Europa a 15. Nel contrasto alla “Social Exclusion”, infine, l’investimento è all’incirca un quarantesimo rispetto all’Olanda (13 Euro contro 592), un trentesimo rispetto a Norvegia (360) e Danimarca(307); un decimo rispetto a Francia (133) e Grecia (112). All’incirca il 13% del livello medio dell’Unione Europea a 15 (100 Euro pro capite), appena al di sopra di Lettonia (10 Euro) ed Estonia (8).

COMMISSIONE DI INDAGINE SULL’ESCLUSIONE SOCIALE, RAPPORTO SULLE POLITICHE CONTRO LA POVERTÀ E L’ESCLUSIONE SOCIALE - 2009-2010.


Sorpresa: i ricchi parlamentari non pensano al contrasto alla povertà

La crisi, […] nel suo passaggio dal livello finanziario a quello dell’economia reale, ha lavorato duramente sul corpo sociale del Paese, anche se spesso “sotto traccia – in forma “subdola”, si potrebbe dire, con termine medico -, aggravando mali cronici e insieme creando nuove, più ampie fasce di disagio attuale e soprattutto potenziale. E ciò in una misura e con una profondità sicuramente superiori a quelle che una frettolosa lettura dei dati aggregati relativi ai principali indicatori di povertà (“povertà relativa”, “povertà assoluta”, “deprivazione materiale”) potrebbero suggerire, senza trovare finora una piena e duratura compensazione nella messa in atto di politiche pubbliche di contrasto adeguate…

Ma che strano.

COMMISSIONE DI INDAGINE SULL’ESCLUSIONE SOCIALE, RAPPORTO SULLE POLITICHE CONTRO LA POVERTÀ E L’ESCLUSIONE SOCIALE - 2009-2010.

10.8.10

Mettete la flora nei vostri cannoni (marittima)

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Carri cinesi dismessi buttati in mare al largo della Thailandia, sperando che ci allignino coralli e pesci; sperando che abbia un fondamento scientifico –
certo è un uso meglio di tanti altri.


Un eroe dei nostri tempi

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[…] NONOSTANTE TUTTO le banche credono ancora in lui, se è vero che un pool di istituti coordinati dal Banco Popolare stanno per prestargli 180 milioni di euro per consentirgli di portare avanti la gigantesca operazione immobiliare sull’area milanese dell’ex stazione ferroviaria di Porta Vittoria, a cui Coppola lavora con tenacia da cinque anni. La stessa tenacia con cui ha sempre insistito su una capigliatura oggetto di scherno, e con cui, per passare dal faceto al serio, poche settimane fa ha firmato un accordo con l’Agenzia delle Entrate, impegnandosi a pagare all’Erario ben 198 milioni di euro (di cui solo 60 già pagati) per estinguere i debiti col fisco di tutte le sue società.

Insomma, il furbetto Coppola, come suol dirsi, è vivo e lotta insieme a noi. Chi l’avrebbe detto? Il 1° marzo 2007, quando fu arrestato per la bancarotta della Micop, una piccola immobiliare intestata a un cameriere rumeno (esponente tipico di quella scuderia di manager di comodo in cui Coppola schierava anche un muratore, un barista, un portiere d’albergo e una colf), sembrava tutto finito.

Dopo poche settimane nel carcere romano di Regina Coeli, lamentando stress e claustrofobia, ha tentato il suicidio tagliandosi le vene. Due mesi dopo si è presentato in tribunale in barella. Dopo altri sei mesi, a novembre del 2007, quando era già da tempo ai domiciliari, si è fatto ricoverare al Policlinico Umberto I accompagnato da un drammatico comunicato di sua madre secondo cui Danilo era in coma in seguito a un arresto cardiaco (“il terzo in poche settimane”), e le sue condizioni richiedevano con urgenza una Tac cerebrale . La premura materna, seppure clinicamente confusa, ha funzionato.

[…] Nella Milano del disastro Santa Giulia, è l’unico immobiliarista a rischiare un capitale del genere in una grande operazione immobiliare. Ma per sua fortuna i soldi sono, ancora una volta, delle banche.

Giorgio Meletti, FQ, p. 10.


Un bel tacer non fu mai scritto

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Però una volta che è scritto si può sempre farlo ritirare.


Ritenta sarai più immunizzato

Insomma il Parlamento ha torto marcio, dal 1992 a oggi ha perso 1100 conflitti d’attribuzioni su 1200 (il 95%), ma insiste nel difendere i torti dei suoi membri contro le ragioni dei giudici e della legge. Il tutto a spese dei contribuenti (227 mila euro l’anno in consulenze legali esterne).

Marco Travaglio, Senti chi parla, FQ, p. 3.


Parabola di un’Italia politica

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L’han detto giustamente tutti, e lo dico anch’io finendo il post di allora, adesso che adesso ho tempo. Tra l’altro stasera inizia la nuova gestione, e allora via.

Dall’era del breve inebriante sogno prodiano di un risveglio civile, istituzionale, economico e morale all’abisso berlusconiano. Ormai lontana, eppure eterno monito, la partita simbolo di un irrimediabile sbando umano (che pure questa redazione non l’ha vista, perché era al lavoro, sorvegliata dalla figlia del principale che girava come robocop in pattugliamento per i corridoi aziendali; questa redazione, per difendere i suoi millequalcosa euro al mese, ha tenuto il capino chino e la radio a casa, mentre certi dipendenti pubblici, non temendo evidentemente per i loro trentamila e qualcosa euro mensili, la partita l’hanno guardata anche con notevole partecipazione emotiva) è stata il capolavoro di un allenatore rispettabile e brizzolato, che ha fatto della propria brizzolatezza una bandiera di rispettabilità, e del rispetto un paradigma di brizzolatezza, evidentemente con efficacia perché c’è chi gli stava anche simpatico, ma però s’è scordato il cervello a casa. Come nel folle delirio di onnipotenza dei peggiori satrapi e tiranni s’è buttato a capofitto contro tutto e contro tutti, così. E va beh.

Adesso comincia l’era Prandelli.

Adesso in autunno si andrà a votare.

E speriamo che, o l’una o l’altra cosa, almeno qualcosa inizi a girare in meglio.

9.8.10

In nome del rosa (rosa scuro)

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L’unico di cui non sono pervenute reazioni [alla prospettiva di licenziamento da capogruppo PdL] è James Bondi: forse perché, pronto all’estremo sacrificio, aveva anticipato i desideri dell’Amato flagellandosi col frustino come il fratacchione de “Il nome della Rosa”; o forse perché già recluso nelle segrete del castello a causa della metamorfosi licantropica. B. è talmente malmesso da preferire, all’attuale gruppo dirigente del Pdl, il Cepu.

Non è uno scherzo: all’ultimo summit – riferisce sempre il Geniale – “era presente la new entry Francesco Polidori, meglio noto come Mr Cepu, che ha portato al premier uno studio statistico su come il partito dovrebbe riorganizzarsi sul territorio e si dice pronto a mettere a disposizione del Pdl le 120 sedi Cepu sparse per l’Italia”. Il tutto per “una campagna elettorale alla Obama”. Manca soltanto Obama, ma per sopperire si darà fondo alle riserve di fard.

Marco Travaglio, FQ.


8.8.10

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Beato te.

Venerdì, in via Corsica.


Inattese rifondazioni

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Cioè spero di no.

Avvistato ieri in zona Carmine, non so neanche più dove.


Io, gli articoli di Superbonus, gli farei sempre il monumento:

PIÙ RIGORE CHE CRESCITA Che succede senza incentivi?

I governi credono alla ripresa, le imprese no

di Superbonus

A chi dobbiamo credere? Al governatore della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, che ci dice che la ripresa in Unione europea è forte, assieme ai tg che parlano di boom della produzione industriale, oppure agli amministratori delegati di Fiat, Telecom e Unicredit che accingono a licenziare circa diecimila persone? A tutti e due e a nessuno dei due. Mai nella nostra storia recente la situazione economica è stata più complessa. Le Banche centrali hanno immesso nel sistema una quantità impressionante di denaro per stimolare la crescita e sostenere gli istituti di credito. La ripresa economica è in atto ma è drogata, gli Stati Uniti hanno stampato un quantitativo di moneta pari a tre volte il Pil italiano per sovvenzionare il deficit dell'Amministrazione Obama che ha elargito aiuti e incentivi a chiunque fosse in difficoltà.[…]

I GOVERNI HANNO accettato di mantenere invariata la spesa pubblica nel 2008 e 2009 per attenuare la caduta dei prodotti interni lordi. Possiamo dire che è stata costruita una “bolla” economica a tavolino. Una bolla nella quale nessuno (che si chiami General Motors, Fiat, Dexia, Unicredito, Citibank, Fannie Mae etc.), fallisce perché lo Stato o le Banche centrali corrono in soccorso. Se sono le stesse nazioni a rischiare la bancarotta, come la Grecia, si corre in soccorso tutti insieme. Ma quanto può durare? Fino a quando il capitalismo che si basa sul principio schumpeteriano della distruzione regge se manca la distruzione e quindi la creazione? Nessuno lo sa, tutti si aspettano uno tsunami finanziario di maggior forza e di maggiore entità di quello che abbiamo già vissuto. Ma nessuno sa se avverrà fra dieci giorni o fra dieci anni.

[…] Le grandi aziende e le grandi banche tentano di scaricare sui lavoratori le proprie debolezze spostando la produzione in paesi a basso costo di manodopera e/o a fiscalità agevolata. Le banche si preparano a diminuire il costo del personale con licenziamenti di massa per reggere la compressione dei margini e l’aumento dei crediti in sofferenza. In questo capitalismo non capitalista, in cui nessuno fallisce e nessuno quindi lascia spazi sul mercato a nuove imprese più efficienti, gli unici che ci rimettono davvero sono i lavoratori, immolati sull’altare della sopravvivenza di aziende che non hanno saputo e voluto ristrutturarsi al momento giusto. […]

Superbonus, FQ, 8/8/10, p. 10.


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E così si va verso le urne. Io non voglio dire niente. Ci pensa Furio.

MA IN QUESTA ITALIA vi sono cittadini che hanno vissuto metà della loro vita – dunque tutta la vita adulta – “sotto Berlusconi”. E nessuno ha detto loro che – tra difetti e problemi che ci sono in tutto il mondo – la politica è un’altra cosa. Vi sono cittadini che hanno vissuto tutta la loro vita adulta “sotto Berlusconi” e che dunque hanno vissuto per quindici anni una ininterrotta campagna elettorale. Nessuno ha detto loro che l’Italia è una Repubblica dirottata da un uomo corrotto e malato, che potrebbe, nel suo volo pazzo verso nuove elezioni, esaurire il carburante e finire in Grecia. Direte che lo trattano bene, i suoi ministri, complici del delitto di distruzione della Repubblica (gente come Brunetta che se ne andrà senza lasciare altro segno che l’invettiva, gente come Tremonti, che avrà come unico vanto l’avere evitato le tasse ai ricchi) per evitare il peggio. Direte che l’opposizione è cauta per prudenza. Purtroppo non è vero. Chiamo a testimonianza il passato. Qualcuno ricorda quanto presto (2001) la sinistra più fiera ha cominciato ad ammonirci, poi a sgridarci e alla fine trattare come un pericolo Padellaro e me, perché chiamavamo il governo di Berlusconi “regime”, con riferimento al fascismo e ne ripetevamo il pericolo, insieme con Tabucchi e Silos Labyni ai tempi dell’Unità?

Furio Colombo, FQ 8/8/10, p. 7.


7.8.10

Feria d’agosto

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Bello tornare in attività, e con un misto di ammirazione e gratitudine, apprendere di stare ancora e sempre in un paese bello, moderno, capace di vivaci dibattiti di opinione su argomenti contemporanei brillantemente esposti.

Qui, per brevità, ma non certo per sufficienza, lascerò da parte le pur coinvolgenti tematiche recentemente sviscerate da molti valenti dipendenti pubblici per i tg nazionali: l’eterna lotta tra l’uomo e l’abbronzatura, l’aperitivo in spiaggia, i sabot oggi, zeppa o tacco, lo yacht del vip; ma anche quelle ben meno significative (e infatti giustamente lasciate a giornalacci e blogger da niente) che attengono alle vistose smagliature inopinatamente offerte alla vista (ma non c’è peggior cieco di chi non vede) da un sistema politico-economico-criminale con qualche problema penale; e preferisco rivolgere l’attenzione a una fonte di ispirazione eterna: la chiesa cattolica.

Questa – come chiamarla, betoniera di buonumore.

Ecco, la chiesa cattolica, oggi, nella sua parte migliore, quella culturale, quella che si è offerto al mondo attraverso la voce acuta e querula di valenti ancorché non più giovani speaker radiofonici e prelati vari, ricorda vagamente il personaggio interpretato da Checco Zalone nell’apprezzato film Cado dalle Nubi. Ecco l’istituzione cui nei secoli si devono mirabili opere d’arte e dell’ingegno, oggi è come se facesse delle cover di I uomini sessuali.

Non solo nell’appassionante pamphlet di qua sopra, che ancora. Ma il mio nuovo blog preferito si supera in due travolgenti altri post: un’intervista “ad un Vescovo serio e lineare come monsignor Giacomo Babini” dove tra l’altro si spiega come e qualmente “Mussolini sbagliò ad allearsi con Hitler, ma bisogna anche riconoscere che la sua dittatura fu una cosa all' acqua di rose”. Sapido anche un immaginifico parallelismo tra il duce di Predappio e Nichi Vendola da Terlizzi, atto a sottolineare il condivisibile fatto che “Mussolini non fu il male assoluto e  fece anche cosa buone e va rivalutato. Molto meglio lui che un Vendola attuale, almeno Mussolini aveva caratura di statista, il pugliese nemmeno quella, ma solo di venditore di fumo e per altro gay”.