17.12.09

Roba pesa

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Volevo citare l’inizio della postfazione di Antonio Ingroia a questa edizione tascabile di Roba Nostra, ma siccome poche righe dopo poi c’è un abominevole NE pleonastico per questo blog il Dott. Ingroia non è più degno della minima considerazione, e anzi diventa oggetto di infinito disprezzo, e quindi non lo citerò mai.

Faccio da me che non sarò laureato in legge, ma almeno dei pleonasmi ne faccio a meno, casomai qualche dislocazione a sinistra (e apostrofi sbagliati).

Scritto bene, relativamente scorrevole, non così espositivamente chiaro come si vorrebbe, ma nel complesso micidiale, questo libro. In senso positivo.
Mi sa che devo rileggerlo; che all’inizio si ha la sensazione quasi fisica della presenza, nel proprio atlante mentale, al posto dove prima c’era l’Italia, di una specie di colossale, maestosa cascata escrementizia, di un monumentale impianto che trasforma la vita, i diritti e i valori in un sottoprodotto dello scarto della merda.
Poi invece, forse perché si torna a parlare di cose di cui almeno ho sentito parlare altrove, e si tiran tutte le conclusioni, tutto diventa preciso e chiaro. E arriva l’orrore.

Per il gip Forleo (che tra l’altro ha appena avuto un incidente). Per i pm Nuzzi e Verasani, e il loro capo Apicella. Per Caterina Merante, per i bambini di San Giuliano di Puglia, per i cittadini pugliesi e campani cromati ai fanghi tossici, e in definitiva per tutti gli italiani, normali che magari non gli è successa neanche nessuna sfiga, che stanno come d’autunno sugli alberi le foglie, a guardare mafie e ceffi spadroneggiare in giro.

Di esplosivo c’è che forse sono io ottuso, ma per la prima volta con questo libro ho capito l’anello che mi mancava, o una lettura, possibile, magari sbagliata, di come si inseriscono nelle storie veramente nere di questi anni proprio gli ultimi che ti aspetteresti di trovare a braccetto con certi figuri: i magistrati. Preferibilmente se di responsabilità, Csm (cieco-sordo-muto), Dap, Ispettorati vari. Che poi è quello che dice Tinti da anni: come nella Pubblica amministrazione, tutto il marcio è nella “politica”, intesa nel peggiore dei sensi, di scambio tribale, mafiosetto, sporco, così per le Toghe tutto è nella politica; che in magistratura si dice le Correnti. Che voglion dire luoghi di favori, chiudi un occhio che ti promuovono, questo rompe i coglioni all’amico mio. E via dicendo. La consorteria senza confini. Il potere. L’impero del Male.

Ah, poi ho scoperto che la Lucania è la Basilicata. Più o meno.