29.5.11

La gente che sta bene

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Ho la testa che scoppia, mi faccio spazio tra i capannelli, attento a non rovesciare il calice di vino bianco che qualcuno mi ha messo in mano. Tengo gli occhi bassi nel tentativo di non farmi intercettare da nessuno, e c’è un caldo sfiancante, e un brusio insopportabile che sovrasta la musica, e ascolto discorsi sul crollo delle certezze, e le varietà rinomate di caffè, e lo sciopero alla Scala, e il sacrosanto diritto alla privacy, e il grasso che cola, e i pm politicizzati, e l’allenatore più gettonato, e le visioni consolatorie, e i difetti che noi tutti conosciamo, e gli artefici del proprio destino, e le due settimane in montagna senza i bambini,
e i suggerimenti degli esperti e la malinconia della domenica sera, e le cose che ad alcuni evidentemente fanno comodo, e quei dolorini alla schiena, e l’egoismo che si vede già dalle piccole cose, e Francesca e Chiara e Lucia che se le sono fatte tutti, e le gocce contro l’insonnia, e i soliti furbi, e l’ottimo rapporto qualità-prezzo, e le ragioni dietro alla guerra, e i lavori di ristrutturazione del bagno, e la pervicace fiducia nel materialismo storico, e le zone ventose della Liguria, e in vantaggi innegabili di questa prossima fine del mondo e riesco a raggiungere una saletta al die là del tramezzo aperto per metà dove, dietro a un tavolo da biliardo ricoperto da un panno nero, a fianco di un’elegante lampada da terra che illumina la stanza di una tenue luce rosa, intravedo un divanetto.
Federico Baccomo, La gente che sta bene, Marsilio 2011, pp. 244-245.