O il piccolo vecchio con gli alti tacchi
Ma non solo
In fin dei conti si può dire in breve.
L’Italia, dopo la seconda Guerra, era il confine tra Occidente anticomunista e orbita sovietica. Per questo, circa dal 1965 al 1974, c'è stata una “guerra a bassa intensità”, per il dominio dei cuori e delle menti; prima soltanto con atti provocatori (falsi manifesti inneggianti a Mao, scritte, volantini), e poi con gli attacchi terroristici (Milano, Brescia, Peteano, Bologna…) si è tentato di destabilizzare per stabilizzare. Generare un diffuso senso di insicurezza da sanare con una risposta “forte” più volte abbozzata, con un colpo di stato (piano Solo 1964, golpe Borghese 1970). Le braccia della famosa "strategia della tensione" erano vari gruppi militari e criminali, il cervello l'han fatto più o meno i servizi segreti militari nazionali, ordinando, inflitrando, e poi coprendo e depistando, con catene di comando che però partono da Roma e si perdono nei dintorni di Langley, Virginia.
Dal 1974, con la caduta di Nixon e di Kissinger, la strategia di protezione dal comunismo è cambiata: non più terrore per il popolo sperando che scegliesse, o giustificasse, una svolta autoritaria, ma un vasto programma di infiltrazione e occupazione delle istituzioni e degli organi dello Stato da parte di personale fidato: principalmente della loggia massonica P2 di Licio Gelli.
In questo quadro si sono realizzate convergenze e sinergie operative tra ambiti apparentemente lontani: gruppi eversivi, apparati di sicurezza militare (servizi segreti), criminalità organizzata e politica. Gruppi che hanno formato de facto un “network integrato” in cui, in funzione di una comunanza di interessi, l’anticomunismo, sono state tollerate e cavalcate un po’ tutte le forze centrifughe: terrorismo, criminalità, corruzione.
I protagonisti dei diversi centri (politica, crimine, eversione, servizi) hanno così sviluppato poteri immensi, diversi da quelli palesi offerti alla comprensione del pubblico, in una zona franca in cui le guardie difendevano i ladri, mettevano bombe, inquinavano le prove; i ladri contattavano gli statisti, e i politici andavano a scuola dai criminali. Naturalmente tutto questo è servito anche a coltivare finalità diverse da quelle che facevano da presupposto al tacito, segreto, sordido sodalizio: ecco allora le ricchezze inspiegabili, la forza politica della mafia, l’autoperpetuazione del marcio. Tutto sottratto al controllo democratico.
Cordate di potere parallele e occulte, proseguite, nonostante tutto, anche dopo la caduta del muro di Berlino e la fine della minaccia comunista.
Il sistema del “network integrato”, in corrispondenza dell’epocale svolta del 1989-90, ha sì vacillato, scoprendo il fianco alla prima e unica operazione di trasparenza della storia: tangentopoli, 1992-93; ma non è morto. Uno dei soggetti, Cosa Nostra, ha restaurato con gli omicidi eccellenti e le bombe (Roma, Firenze) una nuova “strategia della tensione”, più o meno sicuramente con l’ausilio almeno degli apparati di sicurezza, e molto probabilmente della stessa politica. Ormai solo per autoconservazione. Per perpetuare un segreto passato che è diventato anche un presente inconfessabile. D’altronde, se non si aiutano i vecchi amici.
L’equilibrio è stato restaurato. Con esso è tornata la quotidiana routine del Grande Vecchio, che non è una persona, né un gruppo, né un’ideale romantico: è il Potere come si è sdipanato nel corso dei decenni anche e soprattutto a causa di un esiziale interventismo esterno di un’entità estranea (la Cia) che pur non comprendendo appieno le dinamiche in atto si è avvalsa e ha offerto finanziamenti e sostegno ai soggetti più disparati. L’ha fatto anche in Afghanistan e vediamo com’è finita. Per l’italico Grande Vecchio il pane quotidiano non è stato il Corano, ma la corruzione, la criminalità, l’illegalità.
E siamo qui.
Liberamente tratto da Gianni Barbacetto, Il Grande Vecchio, Bur, 2009.