7.3.10

Porca vacca

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I Malcontenti in una domenica così, sole e vento. Un tesserino sulla scrivania.

Cioè non siamo ai livelli della Vergogna delle scarpe nuove, che finiva:

Poi un sabato mi accorgo che i treni, al sabato, son pieni anche al sabato. È il sabato che un mio amico mi accompagna allo scatolificio Berti e mi aiuta a portare a casa i cartoni e poi un po’ m’aiuta a riempirli di libri e dopo un po’ va poi via e io resto da solo a scegliere i libri miei e quelli di Francesca e dentro un manuale di russo, lo apro, vedo una sua fotografia di quando fumava, lo chiudo, è suo, lo metto tra i suoi, sento una cosa, nella gola, scuoto la testa, vado in camera, scuoto la testa, mi schiarisco la voce, mi lascio cadere sul letto, scoppio a piangere. Mi dispiace tanto, dico. Mi dispiace tanto. Mi dispiace tanto, mi dispiace tanto. Mi dispiace tanto. Mi dispiace tanto, mi dispiace tanto. 

Però. C’è qualcosa di apocalittico che magari uno si ricorda quelli di prima, di libri, che facevano ridere, anche se poi si sentiva dell’altro. E invece adesso, questi giorni d’inverno freddi, limpidi, che si vede lontano chilometri, e è bello, e si sta male; è così.

Anche se rischiava di andare tutto in pezzi quando a pagina 57 del libro c’è una strada, “inondata” di sole. Ho vacillato. Tutto l’edificio artificiale-naturale, preciso, fragile messo su fino a lì ha rischiato il collasso – e che poi si ripete anche a pagina 59 e 60 – ma però siccome uno cerca di non restare sempre nel solito brodo, va bene. Chi siamo noi. 

E quindi bo.

Per me è stupendo.

Comunque poi sono uscito e non c’era il sole, mi ricordavo da ieri che c’era e non avevo ancora guardato fuori. Oggi era nuvolo.