24.10.10

Meno male che Silvio c’è

(Soldini)

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Cosa voglio di più non è una domanda, in questo film, e non è neanche un’affermazione in senso stretto e tradizionale del termine. È più un’ossessione tra l’interrogativo e la disperata constatazione di quello che non c’è, e non può esserci nelle vite normali, modeste, ordinate e settentrionali dei protagonisti.

Con questo che non si può non dire un capolavoro l’acclamato (da questo blog) Soldini passa dalla fiaba di Pane e Tulipani, alla realtà d’incubo disciolta in un finale aperto e fitto di speranze di Giorni e Nuvole, ad un verismo carico di un’angoscia imprecisata e quotidiana. Finalmente sullo schermo la vita reale degli italiani di oggi, tra lavori ripetitivi e di poche soddisfazioni, case piccole e angolose, bar con tavolini troppo pieni e troppo vicini, come le scadenze da pagare, le menate e le stanchezze. Su tutto, come in un epico affresco hemingwayano, chi ha, e passa leggiadro sulla vita, e chi non ha, e mastica amaro. Al terzo matrimonio del capo di Anna (truccatissima e impostatissima Rohrwacher) lo ieratico Domenico di Favino, che pure ha un principale in SUV che gli nega puntualmente qualsiasi anticipo sulla paga, chiosa con un mezzo ghigno “C’ha i soldi”.

Mezzo ghigno che vale più di mille parole, in questa declinazione contemporanea senza veli, galoppante fiera e sfrenata dell’Avere e non avere di tanti anni fa. E siamo qui. Al verismo cupo e sconcertante di una storia che vale soprattutto per quello che c’ha intorno, che fa vedere e non dice, e come fa vedere e non dice, e vale l’oro di sapere che ancora qualcuno in questo sventurata riserva di caccia per raccomandati e pseudopoliticanti c’è che sappia fare il suo mestiere.

Meno male.