Parliamo sul piano astratto.
Tra fallimenti umani, in teoria, potrebbe esserci solidarietà. Nell’incipiente sfacelo di tutto quello che può chiamarsi vita e speranza, nel rovinoso fallimento esistenziale-escatologico della persona del suo redattore, questo blog potrebbe trovare un fratello ideale in Mauro Masi. Anche se lui prende i miliardi per applicare la sua inettitudine a un’azienda che forse meriterebbe miglior sorte; anche se ha per sempre profanato la sacralità estetica del baffo di cui, si sa, questa pubblicazione è fiera sostenitrice. Ma non ce la fa.
Come se anche la compassione di una persona pia e umana come questa redazione, oltre un certo punto, si ribellasse, tralignando in fastidio e in disprezzo.
Ed ecco Mauro Masi. Una faccia che vale più di mille parole. Che con piglio militare impone come un collerico dio veterotestamentario i suoi esemplari castighi, e ne azzeccasse una. E poi, dietro le quinte, da solo a solo, questo campione di virilità marziale, ex parà, simpatizzante di destra - è lo zerbino di un attempato signore brianzolo, che lo sbeffeggia e lo pungola senza requie. Novello Cimabue, preso in una tela di cui non si capisce già più il senso, Masi fa una cosa e ne sbaglia due (tradizione orale). Punisce Santoro e gli fa pubblicità; impone chiusure e le sospendono dopo due giorni; fa il gran capo e si trova a dover fare l’appello all’appello. Pezza da piedi sempre insufficiente al buco che contribuisce immancabilmente a peggiorare.
Il crudele distacco dell’implacabile angelo del Cavaliere, trasformato in traballante gag da film muto. Masi.
Che umanità ragazzi.