Quirinal parto
di Marco Travaglio
In attesa che i luminari a ciò
preposti, con lenti di ingrandimento e occhiali a raggi infrarossi, ci
diano l’interpretazione autentica del Supermonito serale del presidente
della Repubblica e dell’incunabolo che lo contiene, una cosa è chiara
fin da subito: il fatto stesso che sia stato emesso già dimostra che
Silvio Berlusconi non è un cittadino uguale agli altri. Mai, infatti, in
tutta la storia repubblicana e pure monarchica, un capo dello Stato -
re o presidente della Repubblica - era mai intervenuto su una condanna
definitiva di Cassazione per pregare il neopregiudicato di restare
fedele al governo, facendogli balenare in cambio la grazia e
garantendogli che non finirà comunque in galera.
Intanto perché spetta
al giudice di sorveglianza, e non a Napolitano, applicare al caso
concreto la legge svuota-carceri del 2010: fino alla condanna di
Sallusti, infatti, chi doveva scontare fino a 1 anno di pena (totale o
residua) finiva dentro e di lì chiedeva gli arresti domiciliari; dopo
invece, per salvare Sallusti, il procuratore capo di Milano decise che
la pena viene comunque sospesa e si tramuta automaticamente in domicilio
coatto. Ma l’ultima parola appunto spetta al giudice, non al Quirinale.
Il fatto poi che la grazia, per ottenerla, uno debba almeno fare lo
sforzo di chiederla dopo aver riconosciuto la sentenza di condanna
(“prenderne atto” è perfino
poco), è noto e arcinoto alla luce
della sentenza della Consulta 200/2006: quella che diede ragione a
Ciampi nel conflitto col ministro Castelli per la grazia a Bompressi.
Solo che quella sentenza dice ben più di quel che Napolitano le fa dire:
afferma che la grazia può essere motivata solo con “eccezionali
esigenze di natura umanitaria”, mai “politiche”. Se fosse un atto
politico, richiederebbe il consenso e la controfirma del governo, visto
che per gli atti politici il Presidente è irresponsabile. Ma siccome la
grazia deve rispondere a una “ratio umanitaria ed equitativa” per
“attenuare l’applicazione della legge penale” quando “confligge con il
più alto sentimento della giustizia sostanziale” e per “mitigare o
elidere il trattamento sanzionatorio... garantendo soprattutto il ‘senso
di umanità’ cui devono ispirarsi tutte le pene... non senza trascurare
il profilo di ‘rieducazione’ proprio della pena”, essa “esula da ogni
valutazione di natura politica” ed è “naturale” attribuirla in esclusiva
al Colle.
E qui Napolitano si dà la zappa sui piedi, quando dice che il
condannato in carcere non ci andrà, dunque non c’è alcuna detenzione
disumana da “mitigare”. Infatti rivendica il potere di graziare B. per
motivi tutti politici (la sopravvivenza del governo, la condanna di un
ex presidente del Consiglio): proprio quelli esclusi dalla Consulta, che
verrebbe platealmente calpestata da una grazia a B.. Se
poi, come scrive, la grazia non
gliel’ha chiesta nessuno, non si capisce a chi Napolitano risponda, e
perché. Non una parola, poi, sulla gravità del reato di B: la frode
fiscale. Né sui vergognosi attacchi ai giudici. Né sui 5 procedimenti in
cui è ancora imputato: che si fa, lo si grazia una volta all’anno per
tenerlo artificialmente a piede libero? La grazia seriale multiuso non
s’è mai vista neppure nello Zimbabwe, ma dobbiamo prepararci a tutto.
Nell’attesa, resta lo spettacolo grottesco e avvilente del Quirinale
trasformato per due settimane in un reparto di ostetricia geriatrica,
con un viavai di giuristi di corte e politici da riporto travestiti da
levatrici con forcipi, bende, catini d’acqua calda, codici e pandette,
curvi sull’anziano puerpero per agevolare il parto di salvacondotti,
agibilità e altri papocchi impunitari ad personam per rendere
provvisoria una sentenza definitiva e cancellare una legge dello Stato
(la Severino su incandidabilità e decadenza dei condannati). Ieri sera,
al termine di una lunga attesa che manco per il principino George, il
partoriente ha scodellato un mostriciattolo che copre ancora una volta
l’Italia di vergogna e ridicolo. Ma è solo l’inizio: coraggio, il peggio
deve ancora venire.