4.8.13

Grazia, una parolina familiare a Re Giorgio

di Bruno Tinti 

LA CONDANNA DI B.

 

PdL - uomini liberi che vogliono restare liberi. Soprattutto non vogliono andare in prigione. Che è già una buona descrizione di B&C. A rifletterci bene di questi tempi se ne potrebbe proporre un’altra: sono sostanzialmente monarchici. Solo a gente così poteva venire in mente di ricattare il Presidente della Repubblica: la grazia o facciamo cadere il governo. Sono rimasti ai tempi dei sovrani assoluti, quando Re e Stato si identificavano, quando si pensava che, siccome i delitti “turbavano la pace del Re”, il Re, e solo il Re, poteva perdonare. Una prerogativa assoluta propria di un sovrano assoluto. Per gente così lo Stato di diritto, lo Stato costituzionale, la separazione dei poteri, l’intangibilità del giudicato, sono tutte elaborazioni politiche e giuridiche sconosciute. Il che è grave, non tanto sotto il profilo ideologico (ognuno ha il diritto di pensarla come crede) ma sotto quello culturale.     
PERCHÉ, ormai, sulla grazia, sui suoi limiti e motivazioni, sono state scritte molte pagine; in particolare alcune che contano assai, quelle della Corte Costituzionale:
la “grazia risponde a finalità essenzialmente umanitarie, idonee a giustificare l’adozione di un atto di clemenza individuale, il quale incide pur sempre sull’esecuzione di una pena validamente e definitivamente inflitta da un organo imparziale, il giudice, con le garanzie formali e sostanziali offerte dall’ordinamento del processo penale... determinando l’esercizio del potere di grazia una deroga al principio di legalità - il suo impiego deve essere contenuto entro ambiti circoscritti destinati a valorizzare soltanto eccezionali esigenze di natura umanitaria” (200/2006). E anche: la grazia tende “a temperare il rigorismo dell’applicazione pura e semplice della legge penale mediante un atto che non sia di mera clemenza, ma che favorisca in qualche modo l’emenda del reo ed il suo reinserimento nel tessuto sociale” (134/1976). Ma allora cosa c’è da preoccuparsi? B&C chiedano quello che vogliono, strepitino e ricattino. Dottrina e giurisprudenza (quella della Corte Costituzionale!) hanno già detto che non si può. B se ne andrà a Villa Certosa, anzi no ad Arcore, anzi no a palazzo Grazioli, anzi no a... (quante istanze di modifica degli arresti domiciliari e quanto lavoro per il povero giudice di sorveglianza milanese) e (come tutti già sanno) pasionarie e seguito resteranno ai loro posti: hanno fatto quello che ci si aspettava da loro; adesso possono godersi le loro poltrone.    

Sì però ... Com’è che Napolitano ha commutato la pena di Sallusti? Da pena detentiva (anche per lui da scontare comodamente in casa Santanchè) in quella pecuniaria. Si fatica a cogliere le pressanti ragioni umanitarie che lo dovrebbero aver motivato; per non parlare della necessità di propiziare “l’emenda del reo ed il suo reinserimento nel tessuto sociale”; di uno che sputava sui giudici che lo avevano condannato e che era appena evaso dalla casa dove doveva restare “arrestato”. E con la grazia regalata al colonnello americano Joseph Romano, il sequestratore di Abu Omar, come la mettiamo? Questo addirittura era latitante. Ragioni umanitarie, emenda (dimenticavo, sarebbe il pentimento operoso, “non lo faccio più e anzi lotterò contro il male”), reinserimento sociale? Ma dai!     
E POI, non per parafrasare ancora una volta Andreotti, ma quell’insinuante auspicio: “adesso i tempi sono maturi per una riforma della giustizia”, autorizza cattivi pensieri. Vi rendete conto? Finalmente, dopo 10 anni, un processo si conclude con la condanna di un ricco e potente, il sistema dimostra di poter funzionare nonostante tutto (tutto significa soprattutto quelle leggi ad personam che Napolitano ha disciplinatamente firmato e che dunque conosce benissimo), è il trionfo dell’art. 3 della Costituzione; e il Presidente super partes, garante dell’unità nazionale, custode della Costituzione etc etc ci viene a raccontare che lo dobbiamo riformare. Ma non aveva proprio niente di meglio da dire? Del tipo “via i delinquenti dalla politica”; oppure “serve una legge elettorale che impedisca che cose di questo genere si ripetano”; e via così. Infine: visto che il Presidente ha ritenuto di esternare sul preannunciato ricatto del PdL, non poteva chiarire subito che di grazia a un frodatore fiscale condannato a 4 anni non se ne parlava? Che la grazia debba essere richiesta dai condannati, dagli avvocati etc, che almeno ci deve essere un inizio di esecuzione della sanzione (che per Romano non c’era stato e che, per Sallusti , era stato subito interrotto dall’evasione), che ci va un’istruttoria del ministro della Giustizia, lo sapevamo tutti. Che bisogno c’era di menare il can per l’aia? Mi sa che, quando il Fatto ha cominciato a chiamarlo Re Giorgio, magari non lo sapeva ancora ma ha colto nel segno. 
FQ, p. 18.