L’INGANNO
Le patetiche bugie dei frodatori di Stato
di Bruno Tinti
D& G e B sono evasori fiscali.
Il secondo un pregiudicato; i primi due in attesa di diventarlo,
condannati in 2 gradi di giudizio tributari e in primo grado penale.
Eppure D & G sono “indignati” e B si fa vittima. Come ha detto
Travaglio, la scomparsa dei fatti. Che però sono testardi. Il sistema di
frode utilizzato da B è molto diffuso: tutti i giorni gente come lui è
condannata per fatti analoghi; e nessuno si indigna o parla di
complotti. Come questi, anche B racconta la stessa ridicola favola (che
poi è sostenuta con molta serietà dagli avvocati): se costituisco una
società con tanto di registrazione e timbri legali, se la utilizzo per
acquistare merce da un fornitore e poi per rivenderla a me o a società
da me controllate, tutto questo è perfettamente regolare. Il che è vero e
non è vero.
Ipotesi A: una società manda in onda
numerosi film che sono programmati sia in Italia che in altri paesi.
Siccome si tratta di attività complessa, che richiede strutture,
personale e risorse, il “padrone” della società costituisce in ognuno di
questi paesi altra società (controllata dalla società madre) con il
compito di gestire la programmazione. Naturalmente, quando si tratta di
comperare i film, la contrattazione è gestita dalla società madre che
può spuntare prezzi migliori. Ma le vendite sono effettuate direttamente
alle società controllate che contabilizzeranno nei loro bilanci i
relativi costi. Tutto confluirà poi nei bilanci della società
capogruppo. Questo sistema è perfettamente legale (e tale sarebbe
considerato dal Fisco) perché costruito “per valide ragioni economiche”.
Ipotesi B: una società manda in onda
numerosi film etc. Questi sono forniti da un produttore americano con
il quale il “padrone” della società contratta vantaggiose condizioni: 10
film per 10 milioni di dollari. E si accorda con l’americano affinché i
film non siano venduti direttamente alla società madre ma ad altra,
sempre da lui controllata. Questa seconda società è costituita in
qualche remoto paradiso fiscale, con un amministratore, di solito un
commercialista locale; non ha strutture né personale, solo un conto in
banca, per il momento vuoto. Il produttore americano, all’inizio, ha
qualche perplessità: vendere a una società di fatto inesistente, priva
di strutture, personale, patrimonio! Ma il “padrone” lo rassicura:
garantisco io, mi serve solo uno schermo contro il Fisco. E così
l’operazione viene avviata. I film arrivano alla società schermo che
subito li rivende alla società madre (in sistemi più sofisticati gli
schermi sono più di uno e più di una sono le finte vendite). Ma
c’è una particolarità: il prezzo di
vendita è raddoppiato; non più 100 milioni ma 200. La società madre paga
e i soldi sono accreditati sul conto della società schermo; da qui 100
milioni vanno al produttore americano; e 100 (ecco uno dei due scopi
dell’operazione) su un altro conto di cui è titolare altra società, una
off shore di cui nessuno sa nulla, manco a dirlo di proprietà del
“padrone” che ha gestito l’intera operazione. In questo modo il nostro
dispone di un tesoretto occulto da impiegare per gli scopi più vari,
ovviamente illeciti: per dire, può comprarsi un paio di senatori. Ma c’è
un altro vantaggio, di almeno pari importanza.
SE LA SOCIETÀ madre avesse comprato i
film in prima persona avrebbe potuto scaricarsi costi pari a 100;
supponiamo: alla fine dell’anno ricavi per 200, costi per 100, reddito
per 100, tasse per 50. Ma se i film li compra dalla società schermo, il
risultato di bilancio cambia: ricavi 200, costi 200, reddito zero,
imposte... zero. Certo, i bilanci della società schermo sono in utile,
si dovrebbero pagare le tasse. Ma chi gliele chiede? Antigua, Santa
Lucia? E comunque dopo un paio d’anni la società chiude e avanti
un’altra. Questo sistema è illegale (e tale lo considera il Fisco)
perché creato “senza valide ragioni economiche”. La società schermo ha
curato la messa in onda dei film formalmente acquistati? No. Ha
rivenduto questi film a clienti diversi nell’ambito di una normale
attività commerciale? No, li ha venduti solo alla società del “padrone”.
E, del resto, come avrebbe potuto svolgere una qualsiasi attività?
Senza personale, strutture, capitali. Ecco perché schermo, scatola
vuota, “inesistente” di fatto. Ecco perché le fatture
emesse sono “relative ad operazioni inesistenti”. Ecco perché si tratta di frode fiscale.
Naturalmente c’è l’ultima spiaggia.
“Ma io facevo il presidente del Consiglio, che ne so di quello che
intanto facevano i miei manager”. A parte le prove raccolte negli atti
processuali, chi può credere che impiegati stipendiati costituiscano
società finte e capitali all’estero non per sé ma per il padrone che,
però, non lo ha mai saputo per più di 20 anni! E che, quando se li
spende, non si chiede da dove vengono! Scajola e la sua celebre casa
comperata a sua insaputa fa quasi tenerezza.
Tutto questo lo sanno tutti. I politici
(PdL e Pd) che si chiedono come
fare un governo con un delinquente che ha fregato al paese, mentre era
presidente del Consiglio, fra annualità prescritte e no, quasi 500
milioni di euro. E la metà degli elettori di B, quelli che hanno un
unico grande ideale: diventare un giorno anche loro delinquenti evasori.
Non lo sa l’altra metà perché, affascinata dal gaudente ricco e
spregiudicato, non lo vuole sapere. Dimenticavo. Un altro che lo ha
sempre saputo è il Presidente della Repubblica. Che ha colto l’occasione
della condanna di B per auspicare una riforma della giustizia.
FQ, p. 18.