7.10.12

A proposito di Thom Yorke


Dall'inizio di marzo e ancora adesso a dicembre - come se fosse un'immagine polmone, un modo per rifiatare - continuo a guardare il video di Lotus Flower dei Radiohead, Thom Yorke in bianco e nero come un Charlie Chaplin contemporaneo che ha perso la giacca ma ha conservato la bombetta, una marionetta mobile e snodabile, sciamanica, instabile, un occhio aperto e uno chiuso, il corpo ebefrenico e poi di colpo inerte, groggy e minerale, una statuetta animata con la barba di una settimana e le braccia che brancolano ritagliando lo spazio e reinventandolo, rendendolo vitale.
Thom Yorke, penso caricando per l'ennesima volta consecutiva il video su YouTube, è molto più di un compositore-cantante: è il ricordo vivente di una selvatichezza che resta nonostatnte tutto smaniosa di esistere, patologia organica che si è fatta coreografia, un'iguana sottile che scorre dentro la vita rettile, il geroglifico di un corpo umano immerso nel post-umano: uno Charlot in rivolta, senza monello e senza sentiero che si perde all'orizzonte da poter percorrere mano nella mano con Paulette Goddard alla fine del film, perché non c'è più Paulette Goddard, non c'è il sentero, non c'è il finale e non c'è neanche il filme, dunque a Charlot tocca stare da solo in uno spazio nero, sullo sfondo i frammenti di un hangar, non si capisce se una struttura industriale dismessa o il dietro le quinte di un teatro di lamiera, nei versi della canzone - I will shink and I will dispappear | I will slip into the groove and cut me off - un desiderio di scomparsa.
L'umano ai tempi dei Radiohead è un astronautoa in maniche di chamici aibanca sospeso nel nero sideralle dell'amore che scompare.
Giorgio Vasta (a cura di), Presente, Einaudi To 2012, pp. 272-273.