7.10.12

No, perché

Non lo so. Andare in prigione, non penso sia una cosa da niente. Soprattutto sapendo come sono messe le carceri in Italia: praticamente dei campi di concentramento. E a nessuno, a parte i discorsi, gliene frega mai niente. Se però in galera ci deve andare il direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti, si è visto cosa succede. Non si possono carcerare le opinioni. No ai giornalisti dietro le sbarre. Stato staliniano. Riforme subito. Decreti d'urgenza. Saving private Sallusti. Adesso io tutta la vicenda che c'era dietro non la sapevo bene, anche perché al solito nessun mezzo "di informazione" ti fa mai capire le cose per bene dall'inizio alla fine, si va sempre sull'emotivo anonimo. Comunque. Poi alcuni validi collaboratori della Redazione hanno messo a disposizione la sentenza di appello. Quella che ha inflitto la pena del carcere, poi confermata dalla Cassazione. Per chi ha dieci minuti è una lettura edificante e la si può trovare QUI. Una volta letta, sfido chiunque a sostenere onestamente che Sallusti è una vittima che non deve andare in carcere. Perché allora, se non viene inflitta una pena severa, anche durissima, al direttore di una testata che diffonde scientemente e reiteratamente informazioni false, che gettano discredito sull'onorabilità e sul buon nome ora di questo ora di quel personaggio (si ricordino tutte le campagne della stagione della "macchina del fango", dietro cui si potrebbe anche scorgere la sagoma di qualche padre padrone a manovrare le pedine, ma adesso non cediamo alla teoria del complotto); e allora non so chi ci deve andare, in galera. Ci deve andare il ragazzino per una busta di erba? La zingara per furto di mozzarella al supermercato? In compenso il fatto che da più parti ci sia stato un unanime moto di solidarietà, come un sol uomo, a favore di Sallusti l'oppresso, l'agnello sacrificale, la dice lunga sul grado di condizionamento e sul potere che l'ex proprietario del Giornale è ancora in grado di esercitare, anche nella sua fase che ci ripetiamo da mesi calante, morente, agli sgoccioli, il crepuscolo. A me più di tanto non pare.