VENEZIA / A DUE VELOCITÀ
LE MOSTRE GEMELLE
Cinefili poveri da una parte, vip da lounge bar dall’altra: la vita da Festival non è la stessa per tutti
di Nanni Delbecchi (FQ)
Vale la pena di venire al Lido, e di arrivarci a piedi, non fosse che per vedere con i propri occhi ciò che a parole è indescrivibile non solo perché è inguardabile, ma soprattutto perché è inspiegabile. Prima di ogni palazzo, tappeto, o star (insomma, prima di tutto) ad accogliere il visitatore è una lunghissima transenna cieca, un mistero più fitto perché più ovvio, come in un racconto di Buzzati. Oltre il velo squarciato qua e là, alla fine appare un’enorme prateria di fogli e di sacchi di plastica bianca; un enigma nell’enigma che fa sospettare di essere finiti alla Biennale invece che alla Mostra del Cinema. Né Boltanski né Christo avrebbero saputo fare di meglio. Christo però è famoso per avere impacchettato i monumenti più celebri, qui il pacco ne nasconde un altro, il buco più costoso al mondo: “Qui giacciono 37 milioni di euro”, recita il manifesto mortuario affisso giovedì dagli occupatori del Teatro Valle in trasferta a Venezia.
IL CRATERE SCAVATO per gettare le fondamenta del Nuovo Palazzo del Cinema, abbandonato quando si è scoperto che sotto c’era una discarica di amianto, guarda tu i casi della vita, e allora impacchettato in fretta e furia, come se nulla fosse, come se fare finta di niente fosse il primo dovere di ogni festival. Si vive così, in gioiosa omertà, con il morto in casa e il bicchiere di prosecco in mano, circondati da questo ground zero che ci si è fatti con le proprie mani, e che è di gran lunga la cosa più cinematografica di queste autoipnosi collettive che sono diventati i Festival del cinema.