3.6.11

Rivoluzione Culturale

Il rottamatore del PdL

LETTERA DALL’ESILIO di Flavia Perina (FQ, p. 20)

image

Caro direttore, “Il Fatto” è stato uno dei pochissimi giornali (forse il solo) che non ha dato troppo credito e spazio all'idea che il risultato dei ballottaggi avrebbe provocato la decomposizione rapida del Pdl, e non posso che congratularmi per la lungimiranza. La rottamazione del Pdl è effettivamente cominciata, ma a determinarla è il suo leader, Silvio Berlusconi, che in tre ore di riunione si è liberato dei triumviri, ha nominato al loro posto il più fedele dei suoi fedelissimi, ha aperto la stanza dei bottoni al “club dei quarantenni” e ha indicato la via del pensionamento ai Verdini, ai La Russa, ai Bondi e all'intera classe dirigente abitualmente associata al suo nome.

“Bombardare il quartier generale” è una vecchia tecnica maoista e funziona sempre a patto di avere sufficiente potere. Berlusconi ne ha moltissimo e non ha sbagliato ad applicarla: in ventiquattr'ore sono spariti dai giornali i retroscena sulle manovre di Alemanno, le cene di Scajola, i disagi di Matteoli, e persino la Lega sembra tornata dietro il cespuglio. Esattamente come il Grande Timoniere, che nel '49 scatenò la rivolta dal basso contro gli apparati burocratici del partito per liberarsi dei competitori e delle fazioni moderate, il Cavaliere indica al suo popolo i nemici interni responsabili della sconfitta, a cominciare dai “candidati inadeguati” di Milano e Napoli, e mobilita i suoi intellettuali organici per costruire la nuova fase: mercoledì prossimo, su iniziativa di Giuliano Ferrara, si terrà a Roma un'assemblea con Feltri, Belpietro, Sallusti e Sechi che inciterà al repulisti dei quadri centrali e periferici attraverso l'indizione di primarie il 1° e il 2 ottobre.

I molti che si erano appellati in questi mesi allo “spirito del '94” sono serviti. Si torna lì, al partito ad personam del capo che in collegamento mistico con la sua base elettorale ri-scende in campo contro “la vecchia classe politica italiana, travolta dai fatti e superata dai tempi”: allora parlava della Dc e del Pci, oggi piccona un sistema che ha nominato lui stesso, ma state certi che se il gioco riesce tra un paio di mesi molti italiani si saranno dimenticati della differenza. E adesso come allora, per usare le parole di Vittorio Feltri, al premier non serve un partito ma un contorno: “Ai suoi uomini chiede solo di dargli una mano in sala macchine. Non ha bisogno di apparati burocratici, di una folta gerarchia, ma di gente fidata”.

Tra gli effetti collaterali più vistosi della svolta c'è l'abolizione della golden share interna che bene o male era detenuta dagli ex An. Ieri, nelle quattro pagine dedicate dal “Giornale” alla scossa, non uno di loro era citato ma svettavano i nomi e le foto di Frattini, della Brambilla, della Carfagna, di Fitto, della Gelmini, di Lupi e persino di Vito. Bye bye, camerati. Svapora il 30 per cento degli incarichi, delle poltrone, delle candidature “ereditate” dopo l'addio di Futuro e libertà assieme al ruolo protagonista conquistato undici mesi fa sottoscrivendo l'espulsione dell'amico di una vita. La faccia nera di Ignazio La Russa nelle inquadrature viste in tv durante la parata del 2 giugno la dice lunga sullo stato d'animo della “quota An”, che con la liquidazione a mano armata di Gianfranco Fini era convinta di aver conquistato il paradiso e si trova degradata dal ruolo di cofondatore a quello di socio di minoranza assieme ai Rotondi e ai Pionati, se non addirittura agli Scilipoti.

Caro direttore, come sai il mio mondo ha pagato qualche prezzo alla battaglia per superare l'anomalia italiana e decretare l'apertura di una nuova stagione, oltre Berlusconi e il berlusconismo. Ma davanti a questo sorprendente finale, davanti al ribaltamento di prospettiva che il Cavaliere impone dopo la sconfitta, davanti ai missili lanciati da Palazzo Grazioli su via dell'Umiltà, si è quasi tentati dall'ammirazione. Mai visto uno così (e speriamo di non rivederlo più).