17.11.12

Violenza, democrazia, Italia


IL PROBLEMA della violenza si pone oggi per le democrazie che, come ogni Stato moderno, della violenza hanno il monopolio. È lecita una violenza popolare contro un regime democratico? In linea teorica no. In democrazia, ogni cinque anni, tu vai a votare chi pensi rappresenti meglio le tue idee e i tuoi interessi. Se non ti soddisfa, alla successiva tornata voterai qualcun altro. Che bisogno c'è della violenza? Il fatto è che quasi tutte le democrazie rappresentative non sono democrazie, ma sistemi di minoranze organizzate,di oligarchie,di caste,politiche ed economiche, strettamente intrecciate fra di loro che, nella più piena legalità formale, possono sottoporre a ogni abuso, sopruso, violenza il cittadino che a esse non si è infeudato. Non sono democrazie ma la loro, non innocente, parodia. Se, come ha auspicato Grillo, i giovani poliziotti si unissero ai loro coetanei in maglietta, contro “i responsabili che stanno a guardare sorseggiando il tè” sarebbe rivoluzione. Legittima se vittoriosa, criminale se perdente. Questo è ciò che ci insegna la Storia. 
Massimo Fini, La violenza è legittima contro chi è violento, FQ, p. 18. 

Me lo stavo giusto chiedendo. Da un po'. Insistentemente. Con la sensazione che la Storia ci debba riservare altre istruttive lezioni. È lecita la violenza contro un Potere formalmente democratico, ma evidentemente di altra natura? 


Sempre più spesso mi pare - in modo puramente astratto e speculativo, naturalmente -  che un'esplosione di violenza contro il Potere, lo Stato o il Sovrastato, o qualsiasi cosa verrà individuata come antagonista, non solo sia legittima, ma che sarà un'opzione scontata per tanti giovani e meno giovani nei prossimi decenni. 

Non è solo l'abitudine di aspettarsi rivolgimenti epocali ogni qualche decennio (quarantotto, guerra, fascismo, guerra, muro, caduta del muro) che, forse, oltre che ingenua e un po' idiota è un'idea che non fa i conti con la marginalizzazione del nostro ex primo mondo. Che probabilmente i sommovimenti e le rivoluzioni se le può scordare durante questo suo poco dorato crepuscolo. Non è solo per un vago clima di fine secolo che ci vedrei bene una nuova Rivoluzione. O semplicemente una grande Rivolta.

È perché per chi come me ha poco più di trent'anni, pochi soldi e scarsi appigli utili a una sempre più improbabile scalata sociale, oggi la vita può essere dura. Densa di umiliazioni. Avara di soddisfazioni.

Ma, in confronto, mi domando: che prospettive hanno i bambini cresciuti da una scuola tenuta insieme da nastro isolante e olio di gomito? Che prospettiva hanno i giovani laureati delle peggiori università europee? I nomadi di questo brullo deserto postnucleare economico, umano, sociale e culturale dell'Italia lasciata da Berlusconi e berluschini?

Le alternative mi pare si debbano trovare tra emigrazione, umiliazione e ribellione.


Si potrebbe argomentare che l'italiano, con la sua naturale proclività a un instabile equilibrio tra docilità con i superiori e imperio verso i sottoposti, cui assistiamo quotidianamente nei luogo di dimora e di lavoro, non abbia certo la rivoluzione nel sangue.

Ma oggi che le comunicazioni sono così facili, è molto più semplice costruire reti, anche internazionali, in cui si possano incanalare e moltiplicare gli umori più elementari così sollecitati da una crisi che chiamare tale è ormai un ridicolo esercizio eufemistico. E vedremo di cosa parlerà la Storia della seconda metà del secolo XXI.