di Furio Colombo (FQ, p. 18)
Ogni volta che passavo di fronte al
suo banco – le poche volte che si poteva lasciare l’Aula – lei, seduta
davanti, alzava la mano e io la tenevo per un istante. Lei diceva il mio
nome, io il suo, come quando si fa il ‘cinque’ americano. Quelli erano i
tempi in cui entrambi eravamo al Senato, lei senatore a vita, io appena
eletto, e avevamo la maggioranza di uno. A volte, senza il voto dei
senatori a vita, saremmo andati sotto e il governo Prodi sarebbe caduto
molto prima. Lei, Rita Levi Montalcini, perseguitata razziale, Premio
Nobel per la Medicina, celebre e apprezzata nel mondo, era sempre
presente, giorno e notte. A quel tempo l’opposizione berlusconiana
guidata dal frenetico capo gruppo Schifani (stessa persona, ma niente a
che fare con il cerimonioso presidente del Senato appena disciolto) era
violenta e rabbiosa. Di giorno impediva il lavoro con urla e insulti, e
in tal modo forzava la prosecuzione notturna. Speravano nel crollo e
nell’assenza di persone che sembravano fragili. Ma dello sguardo fermo e
attento di Rita Levi Montalcini non si sono liberati mai, neppure alle
due di notte. E forse proprio la sua compostezza, tranquilla e un po’
ironica, scatenava, tra i nostri illustri oppositori di Forza Italia, di
An, della Lega un incontrollato furore.
Prendete l’elenco dei senatori di Berlusconi
negli anni 2006-2008. Adesso quasi
ognuno di loro vorrebbe essere rieletto con un pedigree da statista.
Allora, parliamo di tempi non lontani, nessuno si è sottratto o
dissociato dallo scherno, dal disprezzo, dalla esibizione di stampelle
portate in Aula, dallo sventolio di pannoloni, mostrati, di notte, le
poche volte che la senatrice si alzava per uscire dall’Aula. Era il loro
modo (troppo poco narrato dai giornali, mai visto in Tv, mai diventato
argomento dei grandi commentatori) di fare politica.
CERTO la rabbia di questa gente
cresceva di fronte alla serenità impenetrabile e invalicabile di quella
donna tranquilla. È bene ricordare che proprio in quegli anni, proprio
in Senato, proprio intorno a quella signora italiana perseguitata da
leggi italiane e costretta
alla clandestinità perché ebrea,
proprio mentre il Senato aveva, con Franco Marini, il suo presidente più
dignitoso e mite di questa seconda Repubblica, l’orda di Berlusconi e
dei suoi associati (detti, nei vari talk-show, gruppi di opposizione al
Senato) si è
dedicata alla dimostrazione più
clamorosa di gesti, fatti, parole, che avrebbero dovuto dire subito al
Paese che non si trattava di politica ma di comportamenti indecorosi in
luogo pubblico, comportamenti che hanno trasformato il Senato nel luogo
più malfamato della Repubblica. Non hanno mai potuto ferire o sfiorare
la tranquilla scienziata che li osservava con silenzioso compatimento.
Ma hanno ferito a morte le Istituzioni che, diciamolo, finché è durato
il padrone e pagatore di quelle squadracce (tiravano i pesanti libri del
regolamento contro il presidente del Senato, facevano pipì in Aula) non
ha mai recuperato la fiducia dei cittadini e lo sguardo rispettoso del
mondo. Chi? Domanderete di nuovo visto che quasi tutti vorrebbero essere
rieletti. Rispondo di nuovo: tutti. Infatti – come si è detto – anche
nei momenti più indecenti nessuno si
è tirato indietro. E Schifani, che allora ordinava e coordinava, a nome
di Berlusconi, i tre gruppi di opposizione in Aula, a Rita Levi
Montalcini, per quei giorni non ha mai chiesto scusa. Solo dopo aver
ricordato queste cose, solo dopo aver messo a posto questi pezzi della
squallida storia dell’Italia sotto Berlusconi, solo a questo punto
l’ultimo tributo a Rita Levi Montalcini è vero e completo.