di Angelo d’Orsi- FQ, p. 22.
Diciamo la verità: Graziani ci
mancava. Ci ha pensato la Regione Lazio, sotto l’illuminata guida della
signora Polverini, a far rientrare nel pantheon dei grandi della patria
questo arnese del peggior fascismo. O meglio, ci ha pensato il signor
Nessuno che guida uno sconosciuto borgo non lontano dalla capitale, che,
con il sostegno politico e finanziario della Regione, ha concluso
l’interrotto lavoro per la realizzazione di un “sacrario” dedicato a
colui che fu insignito dal re Vittorio Emanuele III (“sciaboletta”), su
proposta del duce, del titolo di “maresciallo d’Italia”: Rodolfo
Graziani, appunto.
Non v’è che dire. Il revisionismo,
nella sua veste più triviale ed estrema, quella che mi onoro di aver
battezzato “rovescismo”, procede nella sua marcia trionfale, e segna
punti specialmente
nell’area fascismo/antifascismo,
incorporando il primo nella storia nazionale, evidenziandone i “meriti” e
obliterandone i crimini, ed espellendo, sminuendo il ruolo del secondo.
Dopo le picconature di Renzo De Felice, che godè di notevoli sponde
politiche (a partire da Bettino Craxi e Gianfranco Fini), si aprì la
voragine.
PASSANDO dalle mani degli storici a
quelle di dilettanti allo sbaraglio, si perse qualsiasi cautela di
metodo e di giudizio: si giunse con una serie di passi via via più
accelerati, al vero e proprio ribaltamento della verità, come se la
storia fosse un campo in cui a seconda dei giocatori si potesse decidere
come sono andati i fatti, e distribuire la palma dei carnefici e delle
vittime in base al governo in carica; e, forse ancora peggio,al “sentire
comune”, creato in realtà dai talk show, che hanno
trasformato la Storia da scienza a
opinionismo. Un Bruno Vespa, per esempio, ha delle belle responsabilità
in questo tipo di lavoro volto a demolire la stessa scientificità della
storiografia. E a far passare nella pubblica opinione l’idea della
necessità di “riscrivere” la storia, magari dalla parte dei “vinti”
(Pansa docet), come se appunto la storia fosse una partita di calcio, e
dopo la sconfitta di una squadra occorresse darle la rivincita. E la
storia fosse un campo neutro, in cui ciascuno tira la sua palla, quasi
che la verità dei fatti
non esistesse, e che tutto
dipendesse dalle “opinioni”. Sicché abbiamo scoperto che il fascismo non
era affatto male, tanto che godè di un consenso spontaneo di massa; che
Mussolini era un grand’uomo, che commise il solo errore di fidarsi di
chi non doveva; che i partigiani erano canaglie assetate di sangue; che
la loro azione non solo non servì a nulla ma fu deleteria e causò
vittime innocenti…
IL RISULTATO ultimo, per ora, è la
riabilitazione di un tristo figuro come il generale Graziani, il quale
per sopperire alle proprie modestissime capacità tattico-strategiche,
usava delatori (fu così che il capo della resistenza libica Omar
al-Muktar venne catturato e poi impiccato davanti a 20.000 libici
attoniti, nel ’31) e pratiche di sterminio di massa, come, oltre che
nella “riconquista” della Libia,
nella campagna di Etiopia, quando
nel ’37, dopo un fallito attentato, egli si diede a una vendetta
terribile, con eliminazioni di massa e con l’uccisione di tutti i
cristiani copti di Debré Libanos, compresi i giovanissimi conversi che
si formavano nel monastero, uno degli atti più atroci della storia del
‘900. Graziani proseguì la sua carriera di incompetente genocidario
nella Guerra mondiale, tanto da essere esonerato dal servizio, per poi
venire ricuperato come inane ministro della Difesa della Repubblica di
Salò, incaricato di ricostruirne l’esercito, compito ben al di sopra
delle sue possibilità e capacità. Nel disfacimento del regime, Graziani
cercò la via di salvezza individuale, ma arrestato dagli inglesi, a
dispetto dell’essere stato dichiarato colpevole di crimini contro
l’umanità, se la cavò, tra indulti e amnistie, con due anni di galera,
concludendo la sua poco brillante carriera come presidente del neonato
Msi, non senza andarsene sbattendo
la porta. A questo personaggio, che appare in tutta la sua pochezza,
grande solo nella criminalità, si dedica oggi un mausoleo. Certo non
saremo noi a deporre fiori in memoriam.