L’ANALISI Il fondo salva Stati fermo fino a settembre
Il comportamento della Corte costituzionale tedesca e, in generale, della Germania, è improntato a una ormai non più tollerabile irresponsabilità nei confronti dei destini dell’euro. La Corte costituzionale tedesca s’è presa tutto l’agio delle ferie estive per decidere l’ammissibilità dei ricorsi contro la ratifica del trattato che ha istituito il Meccanismo europeo di Stabilità, MES. Questo rinvio fa impennare le probabilità di un attacco speculativo contro l’euro.
Luglio e agosto sono mesi caldi. Nel luglio 1992 cominciò l’attacco alla lira, nell’agosto 2007 la crisi dei mutui subprime, a settembre 2008 fallì Lehman Brothers. La Federal Reserve americana, sia nel 2007 che nel 2008, impedì collassi finanziari mondiali. Ma il Trattato di Maastricht e il proprio Statuto impediscono alla Bce di intervenire come prestatore di ultima istanza sul mercato dei titoli dei debiti sovrani. Il MES era stato pensato proprio come strumento per il sostegno dei debiti sovrani europei. Nell’incontro del 28 giugno la Bce era stata associata al Meccanismo come suo agente, rafforzandone le capacità di difesa dagli attacchi speculativi. Ma ciò richiedeva che il Meccanismo, già ratificato dal Parlamento tedesco, diventasse operativo. Il ricorso contro questa approvazione, da parte di alcuni deputati tedeschi, ha bloccato la firma del Presidente della Repubblica e ha rimesso il caso alla Corte. Tutto ciò in nome del diritto costituzionale del cittadino tedesco di rifiutare decisioni prese in sede europea, se pensa possano comportare nuove tasse. Il governo tedesco, così rispettoso dei propri cittadini, è lo stesso che ha imposto, nel novembre 2011 le dimissioni del primo ministro greco, Papandreou, che voleva che ai cittadini greci fosse riconosciuto il diritto di approvare con un referendum i terribili sacrifici richiesti. È lo stesso governo che ha premuto per l’inserimento di impegni fiscali nelle Costituzioni di altri Paesi. Si configura un’Europa con diritti costituzionali differenziati, una graduazione tra diritti dei cittadini tedeschi e quelli di altri Paesi. Eppure, da Europa ed euro la Germania ha avuto enormi vantaggi. Dopo la Seconda guerra mondiale, si decise di non ripetere l’errore fatto a Versailles dopo la prima, quando venne imposta ai tedeschi quella che Keynes chiamò Pace Cartaginese, e che ridusse il paese a eterno debitore insolvente, aprendo la strada a Hitler. Quella lungimiranza permise alla Germania la ricostruzione e la prosperità. L’euro ha dato all’economia tedesca una moneta meno forte del marco, le ha aperto quei mercati del Sud-Europa che senza moneta unica non avrebbe potuto acquistare le esportazioni tedesche e, oggi, le ha dato la possibilità di finanziare il deficit di bilancio a tasso zero. La doppia crisi europea, recessiva e dei debiti sovrani, è tutta di fattura tedesca. Imponendo politiche restrittive in una situazione di ripresa incerta dopo la caduta di produzione e occupazione del 2009, e convincendo i mercati che avrebbe fatto di tutto per impedire alla Bce di agire come prestatore di ultima istanza in caso di attacco speculativo ai debiti sovrani, Berlino ha contribuito a creare la situazione attuale. Una rottura della zona dell’euro, oltre che gravi conseguenze economiche, provocherebbe un cataclisma politico. La rottura dello spazio economico comune europeo sarebbe una conseguenza inevitabile delle politiche che i Paesi metterebbero in atto per far fronte ai problemi politici e sociali che nascerebbero dal crollo dell’euro, che distruggerebbe le fonti dello stesso benessere tedesco. Da dove nasce questa testardaggine del più grande Paese europeo? Perché la classe dirigente tedesca, e gran parte dei cittadini tedeschi, si sente diversa e migliore del resto d’Europa, e in dovere di imporre la propria limitata visione del mondo agli altri? C’è un senso di invulnerabilità e superiorità che concepisce l’intervento economico tedesco nella crisi come un atto di carità verso i Paesi in difficoltà. Non come un atto di responsabilità verso l’Europa. Se si cerca di capire perché gli ultimi due o tre anni a guida tedesca abbiano portato l’Europa a questo punto, emerge la vera sonderweg tedesca, la sua vocazione: credersi molto forti al di là della propria forza reale, economica o politica. La Germania è il più potente paese d’Europa, ma non abbastanza per dominarla; però abbastanza per distruggerla. Come ha ricordato l’ex-ministro degli Esteri, Joschka Fischer, la dirigenza tedesca di oggi sta rischiando per la terza volta di far finire in tragedia il tentativo di dominare l’Europa. Tutte queste nubi addensate potrebbero diradarsi. Bisognerebbe che la signora Merkel trovasse la forza di dire al popolo tedesco, oggi e non nel 2013, che gli eventuali sacrifici per salvare l’euro e l’Europa, e non l’Italia o la Spagna, sarebbero ben minori dei vantaggi che l’euro gli ha portato; e sarebbero minori degli svantaggi di un crollo dell’euro. Ma servirebbe una lungimiranza di cui non si vedono le avvisaglie. Né nella signora Merkel, né nella Corte costituzionale, né nell’opinione pubblica tedesca.
*Università di Modena
** Università di Trieste
FQ, p. 2.