alla vigilia di questa ricorrenza trattata troppo spesso con superficialità e ormai forse ridotta come tutto ad una vuota fiera delle vanità, ad uno scambio di vegetali mefitici, ad un esercizio di piaggeria intersessuale (giovinsignori che sradicano mimose a destra e a manca per portare il venefico floreal omaggio alla compagna che un giorno chissà gliela dà, impiegati che entrano in ufficio tutti tronfi carichi di mazzetti gialli), ad una ripugnante sequela di servizi televisivi preconfezionati, di pubblici esercizi messi a ferro e fuoco da branchi di invasate, ecco mentre si appressa questa fatidica data che per il femminismo ha significato e significa molto, questo giorno in cui la donna rivendica i suoi diritti calpestati e denuncia una condizione di inferiorità sociale, economica, automobilistica anche che nella società democratica del ventunesimo secolo dovrebbe fare arrossire ogni uomo, dovrebbe essere gridata e denunziata ogni ora e ogni giorno, da tutte e da tutti, ebbene in questo sette marzo che precede l'8 marzo di cui al titolo, secondo Questa Redazione è giusto dedicare un momento - non un pensiero vuoto, non retorico - a tutte quelle donne che, ancora, non riescono in Italia e altrove ad affermare il proprio valore, che si trovano costrette a chiedere ciò che è loro dovuto, a tutte quelle donne i cui diritti ed il cui valore sono misconosciuti, calpestati, vilipesi e umiliati, le donne di questo mondo maschilista che vedono tra sé e il proprio meritato radioso futuro un capo, un marito, un collega, un maschio qualsiasi cafone e prevaricatore che le umilia e le vessa, e in particolare un pensiero alla evelina manna.
p.s. però non è tutto tenebra là fuori miei impauriti amici e soprattutto mie impaurite amiche, non è tutto tenebra ma vi è luce, la luce dell'avvenire inizia a penetrare le spesse coltri del grigio regime prodiano. gioite, gioiamo, perché il mio e vostro sacrificio è gradito, sì che lo è.