BANCHE CONTRO EX-DS: 200 MILIONI DI BUCO CHE PAGHERÀ LO STATO
I
CREDITORI DEL PARTITO (CHE ANCORA ESISTE) VOGLIONO INDIETRO GLI
IMMOBILI REGALATI DA FASSINO E SPOSETTI ALLE FONDAZIONI LOCALI. OPPURE
PAGHERÀ PANTALONE
di Stefano Feltri - FQ p. 6
Il
Pd, o meglio, la sua componente ex Ds, è responsabile di un buco di
quasi 200 milioni di euro nei bilanci delle principali banche italiane.
“E che problema c'è? Pagherà lo Stato”, dice al Fatto l'eterno tesoriere
Ds, Ugo Sposetti, appena ricandidato dal Pd. Il Monte Paschi non
c'entra, la questione riguarda quasi tutte le altre grandi banche
italiane. Che, dopo anni di trattative e benevola tolleranza, sono
passate all'attacco, stimolate dalla crisi: vogliono indietro i soldi. E
chiedono di annullare le donazioni con cui i Ds hanno sottratto ai
creditori il loro immenso patrimonio immobiliare, superiore al mezzo
miliardo di euro, quando sono confluiti nel Pd. Se non riescono a
rifarsi su quei beni, scatterà la garanzia dello Stato che copre quasi
tutto il debito. Grazie a un apposito provvedimento del governo D'Alema.
Nella lunga saga del debito post-comunista si è aggiunta una ulteriore
variabile
che Sposetti non controlla: un
avvocato di Barletta, Antonio Corvasce, che da anni conduce nei
tribunali una battaglia per presentarsi alle elezioni con lo storico
simbolo dei Ds, la Quercia, di cui rivendica la titolarità.
La nullità delle donazioni
La storia è complessa e conviene
partire dalla fine. Il 24 giugno
2012 viene notificato ai Ds, che non solo esistono ma hanno ancora una
sede a Roma, un decreto ingiuntivo: UniCredit si è stancata di
aspettare, vuole indietro i suoi 29 milioni di euro più gli interessi
maturati dal 2011 e le spese. Chiede quindi al Tribunale civile di Roma
di annullare la donazione di un immobile di Bergamo da parte dei Ds alla
Fondazione Gritti Mi-netti (che ne detiene 58). L'atto è “senz'altro
revocabile” perché ha creato “un evidente, grave,
pregiudizio alla ingente ragione di
credito certa, liquida ed esigibile vantata dalla UniCredit Spa” verso i
Ds. Sempre Uni-Credit, per le stesse ragioni, contesta anche la
donazione di un appartamento a uso ufficio e di un magazzino a Udine,
trasferiti gratis dai Ds alla Fondazione per il Riformismo nel Friuli
Venezia Giulia. Anche Efibanca, gruppo Banco Popolare, rivuole i suoi 24
milioni, Intesa i suoi 13,7 e così via. Fino ad arrivare ai 176 milioni
indicati nel bilancio 2011, poi lievitati a causa degli interessi. Le
banche, dice sempre il consuntivo 2011, l'ultimo disponibile, hanno già
pignorato 30 milioni di rimborsi elettorali ancora da ricevere. E il
resto? Niente. Nessuna garanzia o quasi, visto che tutti i beni immobili
dei Ds sono stati trasferiti a fondazioni che giuridicamente non hanno
alcun legame con il partito. Ugo Sposetti, al Fatto, dice: “Sono beni
che erano del partito nazionale, ma che se ne fa l'UniCredit
di un piccolo immobile, un circolo
dove si riuniscono i lavoratori?”. E ripete la battuta con cui ha
tacitato ogni obiezione in questi anni: “Lunga vita ai debitori”. Tanta
sicurezza deriva da una doppia assicurazione: gli immobili sono stati
posti fuori dal perimetro del partito, lontano dagli artigli dei
creditori. E sul debito una provvidenziale legge del 14 luglio 1998
(governo Prodi), ritoccata da un decreto della Presidenza del Consiglio
dei ministri nel febbraio 2000 (quando, guarda caso, a Palazzo Chigi
c'era D'Alema): la garanzia statale pensata per i giornali sovvenzionati
che dovevano incassare contributi da Palazzo Chigi veniva estesa anche a
“soggetti diversi dalle imprese editrici concessionarie”.
Se le banche non riescono ad avere indietro gli immobili dei Ds, insomma, i loro debiti li pagheremo noi contribuenti.
Il patrimonio al sicuro
C'era una ragione politica per
conferire il patrimonio dei Ds alle fondazioni, cioè a organismi
territoriali senza scopo di lucro incaricati di tenere viva la
tradizione del partito e custodirne la ricchezza: in tanti, sotto la
Quercia, pensavano che l'e-sperimento del Partito democratico non
sarebbe durato. E allora nel 2007 si è fatto un matrimonio con la
Margherita con la separazione dei beni. Casomai si dovesse tornare
indietro. Anche perché i Ds erano ricchi sul territorio e poveri a Roma,
al
contrario dei margheriti. A Roma il partito di Francesco Rutelli poteva contare sul tesoretto dei
rimborsi elettorali da gestire e da
spartirsi con alcuni dirigenti, anche in quel caso in autonomia, alle
spalle del Pd. Sappiamo com'è finita, con il tesoriere Luigi Lusi, ex
senatore, in galera. I Ds sembravano immuni a questo genere di problemi.
Anche grazie, forse, al fatto che il debito accumulato dal Pci era
stato ristrutturato nel 2003 da Sposetti, Massimo D'Alema (allora
presidente dei Ds) e dal banchiere di fiducia del partito, Cesare
Geronzi, all'epoca numero uno della Banca di Roma. Istituto che poi è
confluito in UniCredit, capofila dei creditori, guidato a lungo da un
altro banchiere non certo ostile al Pd, Alessandro Profumo. Quando è
subentrato il meno politicamente connotato Federico Ghizzoni, nel 2011,
UniCredit ha iniziato a farsi sotto. E la magia di Sposetti si è
dissolta.
Le parti e il tutto
La tesi di Sposetti è sempre stata
che quasi tutto il patrimonio immobiliare non era a disposizione del
partito centrale, visto che si è accumulato in gran parte grazie ai
lasciti di militanti che, morendo, affidavano i propri beni ai segretari
di federazione
, sul territorio: “Non è che perché
si chiamano uguale sono la stessa cosa”, dice. Però le banche si sono
stancate di credere a questa versione in cui la testa era indipendente
dal corpo. Anche perché l'unitarietà del partito traspare facilmente.
Per esempio nel settembre 2009, quando l'inclusione dei Ds nel Pd è
ormai compiuta, Sposetti scrive a tutti i tesorieri locali e ordina loro
di chiudere i conti correnti e trasferire i soldi su un conto romano,
cioè al partito centrale. Basta che venga dichiarato
nullo un singolo atto di donazione e
tutta la costruzione di Sposetti crollerà. Con un potenziale effetto
politico interessante: se le donazioni vengono annullate, chi metterà le
mani sugli immobili rimanenti, una volta soddisfatte le banche? Tutto
il Pd? O se ne occuperanno di nuovo gli ex Ds, Pier Luigi Bersani
incluso? Chissà.
Gli altri Ds
Le banche hanno un alleato
imprevisto nel tentativo di dimostrare che nel 2007 Fassino, Sposetti e
la dirigenza dei Ds (c'erano D'Alema e Bersani) hanno fatto cose che non
potevano fare, sottraendo gli immobili ai creditori. Si chiama Antonio
Corvasce, un avvocato di Barletta che sostiene di essere l'autentico
presidente dei Ds, o meglio, del “Partito dei democratici di sinistra,
nuova denominazione del Partito democratico della sinistra”. Nel 2008,
da consigliere comunale di Bar-letta eletto nelle file dei Ds, ha
annunciato di non aderire al Pd
e di rimanere Ds: chi ha partecipato
alle primarie democratiche (questa è la sua tesi) ha perso ogni diritto
sullo storico simbolo e anche sul patrimonio del partito. “Lo statuto
dei Ds vieta la doppia tessera, chi si iscrive a un altro partito si
mette fuori”, spiega Corvasce. Che ha riunito un comitato di base e nel
2008 ha convocato un congresso “per la continuità”, sostenendo che i
veri di Ds sono quelli che lui guida ancora oggi. Finora quasi tutti i
giudici hanno dato ragione a Sposetti e Fassino. Ma Corvasce insiste e,
assieme al rappresentante legale del suo partito, il tesoriere Vito
D'Aprile, chiede a Sposetti e Fassino di produrre in tribunale documenti
per dimostrare che nel 2008 la gestione del patrimonio
è stata regolare.
Il verbale misterioso
La linea di Fassino e Sposetti si
fonda sull'assemblea dei Ds del 26 giugno 2008, la prima dopo la nascita
del Pd, decisiva per far proseguire l'esistenza del partito (e
assicurarsi così i rimborsi elettorali). Quell'assemblea serve a
dimostrare che c'è stata continuità, che Corvasce non può prendersi il
simbolo. Fassino e Sposetti producono, nella causa civile contro
Corvasce, D'Aprile e i “nuovi” Ds, il verbale
di quell'assemblea. Corvasce
presenta querela di falso: sostiene che quell'assemblea non c'è mai
stata, che Fassino, Sposetti e gli altri hanno gestito i beni del
partito come fossero cosa loro violando lo statuto. Il giudice dovrà
pronunciarsi. Ma alcuni dati sono oggettivi: allegata al verbale c'è una
lettera di Fassino che, da segretario, annuncia l'apertura del
tesseramento nazionale per i Ds il 16 giugno 2008 (quando già c'era il
Pd) . Dieci giorni dopo il tesseramento è già finito e gli iscritti si
trovano all'Hotel Artemide di Roma. Nel verbale si legge che
“l'assemblea è costituita in forma totalitaria essendo presenti tutti
gli iscritti”. Peccato che poi, nel foglio delle firme, ci siano molti
dirigenti che non hanno firmato (i veltroniani Tonini e Bettini, per
esempio). Tra quelli che risultano presenti ci sono Pier Luigi Bersani,
Antonio Bassolino, Massimo D'Alema. C'è anche la firma di Vincenzo Vita,
senatore uscente
Pd, che oggi al Fatto dice: “Ho un
vago ricordo di quella riunione”. Ma c'era stato davvero un nuovo
tesseramento Ds dopo la nascita del Pd? “No, ma quale tesseramento? I Ds
hanno continuato a esistere come entità amministrativa, non c'è più
stata alcuna attività politica”. Altri dettagli: Fassino e Sposetti
producono in tribunale una prima versione del verbale in cui i fogli
delle firme non sono autenticati dal notaio. Corvasce protesta ed ecco
che appaiono i timbri notarili, ma l'autentica è di due anni
dopo, 2010. Sposetti allega anche
un video dell'assemblea, in cui Fassino esordisce dicendo che, visto che
i Ds non hanno più iscritti, è ora di liquidarne il patrimonio. Il
contrario di quanto afferma per iscritto.
Berlinguer sfratta Gramsci
Le banche creditrici saranno ben
felici di sfruttare queste informazioni per sostenere che le donazioni
immobiliari sono nulle. E che le fondazioni locali servono solo a tenere
i beni al riparo dal pignoramento (non si registra praticamente alcuna
loro attività politica). Nella maggior parte dei casi si limitano ad
affittare i locali al Pd. Che paga l'affitto. E se non lo fa viene
sfrattato come a Sestu, in Sardegna: Enrico Berlinguer (la fondazione)
ha sfrattato Antonio Gramsci (il partito). Uno dei tanti paradossi
dovuti alle contorsioni con cui i Ds hanno cercato di far sparire i loro
debiti milionari. Senza riuscirci.